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Rassegna stampa [ARCHIVIO ANNI PRECEDENTI]

(CORRIERE DELLA SERA)
La dinastia dei Mancini, Giacomo jr ci prova con il nome del nonno

26/4/2001

Il sindaco di Cosenza fa «campagna» per il nipote e lancia un appello ai cittadini: votate e auguri a me per il mio compleanno La dinastia dei Mancini, Giacomo jr ci prova con il nome del nonno DAL NOSTRO INVIATO COSENZA - Giacomo fu Pietro fu Giacom o ha un sogno: vedere il nipote Giacomo figlio di Pietro diventare deputato. Per questo qualche giorno fa, per gli 85 anni, ha comprato una pagina di giornale, rivendicato come con lui ai Lavori Pubblici la Salerno-Reggio fosse stata fatta in un pugn o d' anni, ricordato che con lui alla Sanità arrivò in Calabria il vaccino Sabin, sottolineato che lui mai s' è infognato nelle risse tra i ruderi del Psi. E ha chiuso: «Auguri a me per il mio compleanno e a tutte le vostre famiglie». Seguiva il fac simile: «Vota alla Camera, scheda proporzionale, Marco Minniti e Giacomo Mancini». «Ohico' : manca il "jr"!», si son dati di gomito i calabresi. In effetti Giacomo il Giovane, avvocato, 28 anni, consigliere provinciale, ultimo rampollo di una dinasti a quasi quasi più longeva dei Savoia («Che c' entra? Quelli non sono mai stati eletti, noi sì! E poi la nostra è una dinastia pulita che non ha nulla da riproverarsi e io mi sono guadagnato la stima dei compagni giorno dopo giorno») s' è tirato dietr o per anni il "junior". Ce l' ha perfino sul campanello e nella firma: «Giacomo Mancini jr». Che il nonno glielo abbia tolto è stato perciò, per lui, come ricevere le chiavi di casa: vai. Dovesse essere eletto, cosa che non riuscì al papà Pietro nel 1994, il giovanotto tapperebbe un buco. Non ci fosse stata la coppia Benito & Bettino, infatti, la famiglia Mancini avrebbe un rappresentante in Parlamento da 80 anni giusti giusti. Nel 1948, anzi, riuscì ad averne due: Giacomo II (oggi il Vecchio) a lla Camera e suo padre Pietro I, ministro con Badoglio e con Bonomi, al Senato. Dove gli era stato resti tui to il seggio che gli aveva rubato il fascismo. E dove riuscì a sopravvivere, miracolo di un dio laico, anche alla maledizione del vescovo di Crotone che... Ma partiamo dall' inizio. Giacomo I, un bersagliere «biondo e bellissimo», portò i Mancini dentro la storia italiana quando varcò nel 1870 la breccia di Porta Pia. Era un contadino di Malito, un paese calabrese, diventò socialista conv incendo i suoi a pagare le raccoglitrici di castagne con la metà e non più un terzo del raccolto, fece 13 figli e quello che gli riuscì meglio fu Pietro. Il quale, laureato in legge e in filosofia con Antonio Labriola, diventò il primo deputato socia lista calabrese. Era il 1921. Giusto il tempo di pronunciare una durissima requisitoria sui torti romani verso la Calabria (e sui misfatti d' un carabiniere che taglieggiava i paesani chiedendo «galli, capretti, uova, verdura, frutta e tutto i l mangiabile») e un ricordo funebre di Vladimir Lenin. Poi, chiuso il Parlamento, venne mandato al confino. Due decenni di vuoto. E poi rieccoli: il figlio Giacomo alla Camera, per la prima delle sue 10 legislature, lui al Senato. Fu allora, alla vig ilia del 18 aprile, che morì, fu pianto e risorse. Stava facendo a Vibo Valentia uno di quei comizi in cui, per citare il figlio, «partiva da Onorato di Balzac per arrivare alla Terza Internazionale». Mentre parlava, passò un frate con processione sa lmodiante di disturbo. Cosa disse Pietro non si sa. Ma Parola di Vita, il giornale diocesano, scrisse che il vecchio Mancini, alla vista del pio corteo, aveva smoccolato contro il Papa e i preti al punto che il buon Dio, di lassù, l' aveva fatto secc o. Bugia sancita il giorno dopo dal vescovo di Crotone, che commemorò il morto additando la sua fine ad esempio per tutti i rossi. Finché da Reggio, dove erano apparsi manifesti che ridimensionavano la cosa dicendo che comunque il peccatore era stato colpito da paralisi e perdita della parola, partì un telegramma che diceva: «Venga senza meno. Stop. Urgentissimo smentire punizione celeste». Mezzo secolo dopo, nell' auto-augurio di buon compleanno in cui si appella ai «suoi» calabresi perché eleg gano il nipote, Giacomo il Vecchio benedice i parroci: «Il loro aiuto è stato di grande importanza, soprattutto nei quartieri popolari». Il mondo è cambiato, intorno. E' cambiata la Calabria rossa che vide occupare le terre e nascere e morire in tre giorni la Repubblica Popolare di Castrovillari. La Calabria fidelis secolarizzata da troppa assistenza, troppa tivù, troppe clientele. La Calabria dalle coste vergini sventrate dall' abusivismo. Solo i Mancini sono rimasti al loro posto. Saldi e immu tabili attraverso trionfi, processi, tragedie. Sette anni l' han fatto penare, il vecchio Giacomo più volte ministro, segretario del Psi, padre della svolta del Midas che portò al potere (di qui il nomignolo «Craxi Driver») Bettino: 7 anni di accuse infamanti prima che i giudici, dopo una condanna a 3 anni e mezzo, lo mandassero assolto dall' imputazione di legami mafiosi e lo rimettessero sulla poltrona di sindaco di Cosenza. Poltrona che il patriarca aveva conquistato nel 1993 dopo che il «suo » Craxi l' aveva espulso dalla Camera svuotandogli il partito intorno. E che da due anni era stata abbandonata dal figlio Pietro, «il migliore di tutti noi Mancini, costretto ad andarsene perché aveva tentato di portare pulizia in Comune e perché pie gato da un dolore immenso, il suicidio di sua moglie Maria Lorenza, la mamma di Giacomo jr». Da padre a figlio e da figlio a padre. Imbarazzi? Zero: «Di che mi dovrei imbarazzare: che siamo una famiglia che s' impegna per la Calabria? Hai voglia di f are il nonno, se il nipote non vale! Le pare che io possa tirare un bidone al Parlamento? Se aiuto Junion è perché se lo merita. Riuscissi a vederlo alla Camera toccherei il cielo con un dito». Ma quella scuola elementare intitolata a sua madre, Gius eppina di Matera... «E allora? Se lo meritava. Sono stato un buon figlio». Butta giù un caffè: «Mi attaccano su questa piccolezza perché non hanno altro. Si faccia un giro in città. Guardi com' è cambiata. La piscina, i giardini, il recupero del cent ro storico, il Viale Parco, il piano regolatore... Mi hanno rieletto col 60%. E mi voglion bene tutti. Meno chi mi attacca per vendetta o per affari. Come la Provincia. Mi faceva titoli che sapevano di miele finché non ho scoperto che Piero Citrigno, il padrone, aveva fatto un condominio con tre piani in più del lecito. Glieli ho fatti buttar giù. Ora per quel giornale sono un "vecchio bavoso"». A proposito di giornali: come mai, nell' appello per Minniti e per Junior, si è scordato di Achille Occhetto, candidato al Senato proprio qui? «Una dimenticanza... Era una cosa tra calabresi...». Gian Antonio Stella
 


 
 
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