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Rassegna stampa [ARCHIVIO ANNI PRECEDENTI]

(IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA)
Un anno senza Giacomo Mancini

8/4/2003

Se i sentimenti che restano a un anno di distanza dalla morte del vecchio sindaco sono insondabili e meritano rispetto, più facile forse appare comprendere quanto è cambiato nel mondo della politica dopo la sua scomparsa. Molte cose sono cambiate - dice sicuro Giacomo Mancini ­- Il Paese ha perso una grande figura. Oggi si fa fatica a sentire parlare di Mezzogiorno e anche di battaglie per il Mezzogiorno. Eppure le battaglie che furono di mio nonno, rivisitate sarebbero un patrimonio per la sinistra. -Come le sembra oggi l'azione politica in Calabria? Oggi in Calabria si fa troppa tattica. Sembra mancare una grande idea della regione. E senza una grande idea, senza un forte progetto, la Calabria diventa terra di conquista, come del resto si sta vedendo. Invece in questi tempi di guerra, la Calabria potrebbe svolgere un ruolo significativo, proiettandosi come tramite tra le culture diverse. Ma ci vorrebbero orizzonti più ampi -Insomma Mancini manca, manca alla Regione e alla città. Non c'è il rischio di dare paradossalmente ragione ai suoi avversari? Certo che Mancini manca. Sarebbe strano se fosse il contrario. Manca a coloro che vogliono continuare le sue idee e il suo programma amministrativo. Ma dire che manca non significa dare ragione a quanti criticano e oggi usano il suo nome in modo strumentale. -Sin da subito il sindaco Catizone ha parlato di continuità e discontinuità, di eredità e innovazione come le parole d'ordine del nuovo corso amministrativo. E infatti a continuare il lavoro avviato oggi c'è un sindaco giovane, necessariamente diverso per mille ragioni, che però dimostra ogni giorno di voler continuare quanto è stato già fatto, un lavoro del resto di cui lei stessa era già protagonista. Oggi, a un anno di distanza dalla morte, continuare il lavoro di Giacomo Mancini significa soprattutto far vivere i suoi progetti e la sua idea di città, senza impantanarsi nelle pratiche degeneri della partitocrazia che mio nonno aveva sconfitto nel 1993. Michele Giacomantonio
 


 
 
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