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Dichiarazioni [ARCHIVIO ANNI PRECEDENTI]

Relazione di Enrico Boselli al Comitato direttivo nazionale

1/6/2006

Relazione del segretario Enrico Boselli al comitato direttivo nazionale del 1-2 giugno 2006 - Hotel Palatino Roma Care compagne e cari compagni, siamo appena usciti da una campagna elettorale amministrativa che è seguita a poca distanza da quella per le elezioni politiche. L’ex presidente del consiglio Berlusconi ha esplicitamente puntato ad una rivincita rispetto alla vittoria raggiunta per un soffio dal centro sinistra. A questo scopo ha esasperato i toni e ha cercato di allargare le divisioni nel Paese al fine di raccogliere un più ampio consenso e di riuscire così a dimostrare che il governo appena costituito rappresentava solo una minoranza tra elettrici ed elettori. Questo tentativo è stato condotto su un terreno improprio, come è quello delle elezioni dei governi locali. Berlusconi non è stato in grado di ottenere una rivincita. Il centro sinistra si è affermato nelle principali città italiane. Il centro destra ha vinto in Sicilia, ma lo scarto dei voti si è ridotto rispetto alle precedenti elezioni. Rita Borsellino ha fatto una campagna efficace che ha posto al centro il contrasto della criminalità mafiosa, senza assumere però toni giustizialisti. Naturalmente, come è necessario ogni qualvolta si va incontro ad una sconfitta, saranno necessarie revisioni e correzioni di rotta. Milano è stato al centro di una grande sfida. Da parte del centro destra si dava quasi per scontato un risultato trionfale per Letizia Moratti, che non c’è stato. Abbiamo invece assistito ad un risultato che ha separato i due contendenti solo di pochi punti percentuali. Noi restiamo convinti che se a Milano si fosse candidato Umberto Veronesi, personalità di grande rilievo scientifico e politico, il centro sinistra avrebbe potuto conquistare la guida di Palazzo Marino. Solo resistenze incomprensibili e polemiche ingiuste hanno impedito al centro sinistra di scegliere quello che era il candidato indubbiamente migliore. A Roma e a Torino Veltroni e Chiamparino hanno avuto un successo pieno. Ora Berlusconi ci vorrà riprovare con il referendum, ma già nella sua coalizione si manifestano riserve e perplessità su una strategia di muro contro muro che si propone ad ogni occasione di dare una spallata al nuovo governo. Il centro sinistra si deve attrezzare per questa nuova consultazione perché prevalga il “no” a modifiche della Costituzione, fatte a colpi di maggioranza, che squilibrano i poteri istituzionali e impongono un mix di centralismo e di separatismo, senza che ciò escluda in futuro aggiornamenti e revisioni. Per quanto riguarda la Rosa nel Pugno, il mio è un giudizio positivo, con la rilevante eccezione di Milano. La lettura dei risultati si presenta tuttavia abbastanza complessa e richiede una analisi dettagliata. Le liste della Rosa nel Pugno nelle elezioni politiche del 9 e 10 aprile hanno usufruito di un consenso di opinione sufficientemente rilevante, anche se inferiore alle nostre aspettative, che si è concentrato in particolare nelle regioni del centro nord e nei grandi centri urbani. Non c’è dubbio che una parte di questo elettorato, per sua natura poco stabile, non abbia confermato la propria scelta alle amministrative. Del resto questo era già accaduto nella città di Trieste dove il 9 e 10 aprile si era votato contemporaneamente per politiche e comunali. Pertanto, si tratta, quindi, di fenomeno che era prevedibile ed infatti era stato da noi stessi previsto. Nello stesso tempo tuttavia le nostre liste hanno raccolto più alle amministrative che alle politiche il tradizionale consenso organizzato di marca prevalentemente socialista. Tale consenso si è manifestato in maniera particolarmente evidente nell’Italia centro meridionale, ma anche in molti centri medi e piccoli del Nord. Laddove il voto d’opinione era stato particolarmente rilevante ed il consenso organizzato più debole abbiamo registrato le maggiori flessioni ed i risultati più deludenti, com’è accaduto a Milano. In molte di queste situazioni, come a Milano e a Roma, si è registrata una pesante concorrenza sul nostro nuovo elettorato da parte delle liste civiche dei Sindaci, che hanno catalizzato l’attenzione dell’elettorato di opinione. A Roma nel centro storico e nei quartieri medio alti la Rosa nel Pugno ha pressoché dimezzato i propri consensi tra le elezioni politiche e le comunali, mentre in alcune periferie li ha visti raddoppiare. Va, peraltro, notato che il risultato dello SDI nelle ultime comunali era stato dello 0,7 a Milano e dello 0.8 a Roma. La Rosa nel Pugno ha consentito, per la prima volta dopo tangentopoli, di eleggere un consigliere comunale socialista nella capitale ma non a Milano dove resta un gravissimo vuoto nella nostra presenza a Palazzo Marino. La perdita del voto di opinione non compensata dal voto di appartenenza si è manifestata solo nelle grandi città, anzi per meglio dire è avvenuta principalmente a Milano e in misura minore a Roma, anche per l’impegno di Emma Bonino che ha accettato di guidare la lista nella capitale. A Torino, invece, abbiamo retto bene. Nel resto del territorio, invece, sia nelle elezioni provinciali che nelle comunali, abbiamo assistito ad una netta inversione di tendenza: al voto del 9 e 10 aprile si è andato a sommare quasi sempre un contributo aggiuntivo legato alla mobilitazione locale. Nelle otto province chiamate al voto la percentuale complessiva della Rosa nel Pugno è pari al 2,7 per cento contro il 2,3 delle elezioni politiche. Nelle elezioni comunali le liste della Rosa nel Pugno e quelle socialiste organizzate in alcuni comuni dallo SDI superano complessivamente il 3 per cento, pur tenendo conto che in molti comuni non eravamo presenti. A Cosenza Giacomo Mancini, candidato Sindaco, ha raccolto un risultato spettacolare raggiungendo il trenta per cento dei voti. La Rosa nel Pugno è il primo partito con il 15% cui va aggiunto il 7.5 per cento della lista Mancini. A Savona la RNP raccoglie l’8,2 per cento, a Siena la lista riformista organizzata dallo SDI locale raggiunge il 9,5, la lista socialista ad Ancona il 5,3, la Rosa nel Pugno a Salerno il 5,2, a Benevento il 5.7 a Barletta il 7,6 e si attesta tra il 5 e il 10 per cento nei numerosi Comuni della Puglia e della Campania chiamati al voto. Abbiamo raggiunto in alcune situazione risultati di grande valore. Significativo è il risultato conseguito dai compagni di Napoli che non hanno presentato la Rosa nel Pugno per una differenza di valutazione con i radicali rispetto al sostegno a Rosa Russo Iervolino. Ho già avuto modo di dire, alla luce dei risultati, che le loro valutazioni avevano fondamento. Positiva è stata anche l’esperienza dell’Aquilone in Sicilia che ci ha consentito di eleggere per il momento due deputati regionali e ci auguriamo che possano aumentare per effetto dei ricorsi in atto. Va citato infine, anche il risultato raggiunto dalla Rosa nel Pugno nel Comune di Roseto degli Abruzzi (15,9 per cento). Insomma siamo riusciti a superare bene la prova di queste elezioni amministrative. Lo abbiamo fatto in virtù del nostro radicamento e della nostra attività sul territorio. Ciò è avvenuto sia quando abbiamo scelto di presentare il simbolo della Rosa nel Pugno che quando, per nostra scelta o per divergenze locali con i radicali. abbiamo corso con simboli di connotazione più strettamente socialista o riformista. Ho gia detto dopo le elezioni politiche che non mi convinceva l’argomento di chi sosteneva che alcune delle tematiche portate avanti dalla Rosa nel Pugno sarebbero particolarmente indigeste almeno ad una parte del nostro elettorato tradizionale, particolarmente nel meridione. Se così fosse non si spiegherebbe il repentino passaggio, ad esempio nella Provincia di Reggio Calabria dal 3,1 di un mese fa al 4,5 di qualche giorno fa. E cito una delle differenze meno spettacolari, ma potrei citare casi in cui i voti sono triplicati o quadruplicati. E’ vero invece che nelle elezioni amministrative è stata dispiegata, in particolare da parte dei nostri compagni quella capacità di propaganda, di mobilitazione e di convinzione che era in parte mancata alle elezioni politiche. Questa attività, che ha come sempre coinvolto in maniera molto intensa la nostra struttura, ha reso ancor più evidente la differenza di comportamenti e di atteggiamenti rispetto a quelli dei militanti radicali. Su questo punto occorrerà chiarirsi le idee ed intervenire con coraggio ed intelligenza se vogliamo che l’esperienza della Rosa nel Pugno dia i frutti che può senz’altro dare. I militanti radicali, al centro come in periferia tendono a promuovere campagne politiche su singoli temi, spesso spinosi, rivolgendosi direttamente alla pubblica opinione nel suo complesso. I socialisti tendono a dare stabilità al consenso costruendo strutture che abbiano continuità nel tempo e a privilegiare l’obiettivo di rappresentare una parte della comunità all’interno delle istituzioni. Si tratta di storie, sensibilità, metodologie diverse che dovranno tuttavia entrare in rapporto sempre più stretto. Se ciascuno continuerà a fare il proprio mestiere di sempre, se i due mondi non saranno disponibili a scambiare esperienze in modo fecondo, la scommessa della Rosa nel Pugno non si potrà vincere, come invece si deve vincere. Si tratta di un problema che investe la fisionomia della Rosa nel Pugno, gli strumenti e le strutture che dobbiamo mobilitare, i temi e le proposte che dobbiamo portare avanti. Da questo risultato elettorale delle amministrative, dopo quello delle politiche, possiamo trarre però una conclusione per quanto riguarda la nostra impostazione politica: il progetto della Rosa nel Pugno è stato valido e va ulteriormente sviluppato, sia pure adottando revisioni e correzioni che possano realmente permetterci di coglierne tutte le potenzialità. Dalla crisi del PSI e del PSDI ci siamo continuamente e ripetutamente trovati di fronte a un dilemma: contare sulle nostre risorse cercando di recuperare, almeno in parte, il bacino elettorale socialista, esaltando la nostra identità e affidandosi alla ricerca dell’unità socialista; oppure cercare di costruire aggregazioni più vaste con formazioni affini allo scopo di costruire un soggetto politico riformista più esteso e robusto. Dobbiamo rilevare che, alla luce della nostre esperienze, questo dilemma non è stato mai risolto in via definitiva. E non si tratta di un’incertezza da parte dei gruppi dirigenti, ma della presenza di un sentimento assai diffuso nei nostri compagni e delle nostre compagne al livello di base – per usare una espressione tradizionale – che non hanno mai rinunciato al sogno di ricostruire una forza socialista equivalente per consensi elettorali e per influenza politica a quella rappresentata dal PSI e dallo PSDI. Questa aspirazione si fonda su una argomentazione che in più di un decennio si è rivelata piuttosto fragile e che, comunque, non è stata mai consolidata dai fatti. Quando ci siamo presentati sostanzialmente uniti alle elezioni europee del 1999, con il sostegno di Bettino Craxi che in quell’occasione aveva fatto candidare nelle nostre file suo figlio Bobo e con la sola eccezione delle liste presentate da De Michelis in Sicilia e Sardegna, superammo di pochissimo il 2%. Ciò ci induce a ritenere che il bacino elettorale, almeno potenziale, dei voti del PSI e del PSDI attorno al 10-15% non possa essere recuperato neppure con una forte iniziativa che valorizzi a pieno l’identità socialista. Ogni volta che noi abbiamo imboccato la strada di aggregazioni riformiste più estese, come nel caso attuale della Rosa del Pugno, abbiamo dovuto fare i conti con questo forte e diffuso sentimento. Devo dire che comprendo e in qualche modo giustifico questo stato d’animo. E’ infatti evidente che qualsiasi comunità, che si sia sentita per lungo tempo circondata da ostilità e diffidenza, è naturalmente portata ad esaltare la propria identità e quindi a rimarcare la propria diversità. Del resto la risorsa principale, che abbiamo avuto a disposizione nel corso di questo ultimo decennio, per riuscire a mantenere viva un’aggregazione autonoma dei socialisti italiani è stata la nostra storia, le nostre tradizioni e le nostre memorie. Sovente abbiamo ripreso una metafora assai nota: noi abbiamo cercato di andare avanti come un nano appollaiato sulla spalla di un gigante. Ed è del tutto evidente che il gigante è rappresentato dal movimento socialista, come è stato e come ha contato nella storia d’Italia. Per questo motivo non ho avuto mai dubbi e mai ne avrò che sia importante mantenere saldo il nostro legame con le nostre radici e con il movimento socialista europeo e mondiale, a cominciare dal PSE, e con l’Internazionale Socialista. È, infatti, solo per questo fondamentale caratteristica di fondo rispetto a tante altre formazioni di equivalente consistenza elettorale, che siamo invece per la nostra tradizione e le nostre idee una forza fondamentale della storia d’Italia. Infatti, nella geografia politica italiana siamo l’unica formazione che può vantare una coerenza nel corso della sua storia. Queste nostre caratteristiche, tuttavia, possono paradossalmente costituire un handicap se concepiamo la nostra tradizione come un serbatoio inesauribile dal quale attingere l’energia sufficiente per svolgere il nostro ruolo politico nell’Italia di oggi. Sono infatti convinto che se ci fossimo rinchiusi in un recinto puramente identitario non saremmo stati in grado di mantenere e di rafforzare la nostra organizzazione autonoma dei socialisti italiani. Dobbiamo, infatti, sempre ricordarci il perenne ammonimento di Pietro Nenni: “Rinnovarsi o perire”. Nel corso di più di un decennio mi sono sforzato, assieme agli altri compagni e alle altre compagne del gruppo dirigente, con risultati alterni di rompere la cappa che ci isolava e che alla fine ci avrebbe condotto ad un inesorabile esaurimento. Ho sempre avuto chiaro che nel nuovo sistema politico, i socialisti non erano più autosufficienti, che era necessario costruire alleanze e aggregazioni con forze riformiste affini e pensare di ricostruire la nostra presenza e la nostra influenza attraverso una nuova strategia e la costruzione di un nuovo soggetto politico, di cui i socialisti fossero una componente e non il tutto. Molte sono state le occasioni che ci si sono presentate. Molti sono stati i tentativi che abbiamo fatto per costruire un nuovo e più forte soggetto riformista. Oggi, io credo che la Rosa nel Pugno sia davvero per noi socialisti un progetto di grande valore sul quale impegnarci. Molti sono gli interrogativi che sono insorti nelle file socialiste sul futuro della Rosa nel Pugno. Non mi nascondo che esiste nel nostro partito qualche tentazione di ritornare indietro e di puntare di nuovo solo ed esclusivamente sulla difesa e la valorizzazione della nostra identità.Io non credo che vi sia una contraddizione tra la necessità di sviluppare il nostro progetto della Rosa nel Pugno e la possibilità di raccogliere l’unità dei socialisti. Noi non abbiamo mai abbandonato l’idea di riunificate tutti i socialisti con la caratterizzazione che è stata sempre propria del Psi e del Psdi si essere collocati nella sinistra italiana. Ho sempre avvertito questa aspirazione innanzitutto come un dovere morale rispetto alla nostra grande storia, piuttosto che come una via di uscita dalle nostre difficoltà elettorali. Oggi nuovamente dobbiamo interrogarci sul nostro futuro. La decisione che spetta a questo comitato direttivo riguarda proprio la strada da seguire. Io non ho esitazione a dire ai compagni e alle compagne che dobbiamo proseguire nella strada intrapresa. Io non vedo alternative al nostro progetto della Rosa nel Pugno. Mi rendo conto di quali sono le difficoltà che incontriamo. Non si tratta dell’esistenza di forti differenze politiche tra i socialisti e i radicali che a mio giudizio non esistono. Non si può dire infatti neppure che sui temi della laicità, su quelli dei diritti civili o su quelli riguardanti l’adeguamento della nostra legislazione nel campo degli stili di vita, del costume e della morale, che tanta parte a giocato nella nostra campagna elettorale, appartengano più alla tradizione radicale rispetto a quella socialista. Ricordo, infatti, che senza i socialisti e senza i radicali non si sarebbe mai riusciti a introdurre in Italia il divorzio come la legge sull’aborto. Esiste tuttavia un problema che riguarda la fisionomia della Rosa del Pugno da affrontare rapidamente. Indubbiamente il nostro spettro politico e programmatico non ha avuto tutta quella ampiezza che sarebbe stata necessaria. Vi è stata quindi una eccessiva caratterizzazione sui temi civili rispetto a quelli sociali che dovremo cercare di sviluppare. So bene che si evoca molto spesso come nella impostazione programmatica della Rosa nel Pugno vi sarebbe un vuoto che rappresentato da una nostra mancata attenzione alla questione sociale. Per una forza socialista infatti, è del tutto evidente che le questioni che riguardano le condizioni di vita dei cittadini sono assolutamente prioritarie. Osservo però che da tempo noi come socialisti in Italia e in Europa abbiamo collocato questa antica questione sociale su un piano diverso che tende a prendere in considerazione differenti punti di vista rispetto a quello unico e tradizionale del lavoro. Il movimento socialista è nato dalla fabbrica come base dalla quale costruire la propria piattaforma di obiettivi. Da tempo noi abbiamo compreso che questa è una visione parziale che non è in grado di afferrare i mutamenti avvenuti con le grandi trasformazioni sociali ed economiche. Faccio un esempio per farmi capire meglio. Noi da tempo polemizziamo contro gli scioperi selvaggi nei trasporti perché danneggiano più i lavoratori che i datori di lavoro. Inizialmente fummo accusati di non stare dalla parte giusta come se ovunque è dovunque si dovesse appoggiare qualsiasi tipo di agitazione sindacale, cosa che oggi non avviene più se non da parte di frange estreme della sinistra. Noi infatti avevamo compreso che non esiste solo il punto di vista del lavoratore all’interno della fabbrica o dell’ufficio, ma anche quello che lo vede come consumatore, cliente ed utente. Ciò significa che ogni qualvolta esaminiamo spaccati del mondo del lavoro dobbiamo tener presente che comportamenti ribellistici o di colpevole inerzia danneggiano spesso la stragrande maggioranza dei cittadini. Questa nostra riflessione ci ha portato da tempo a considerare l’impresa come una forte molla per lo sviluppo, con una revisione degli antichi schemi della lotta di classe che pure sono stati alla base delle origine del nostro movimento. Oggi, di fronte alla globalizzazione occorre una nuova apertura da parte del mondo del lavoro che faccia propria la necessità dello sviluppo accompagnandola da nuovi strumenti che al posto di tante incertezze creino altrettante certezze. Noi abbiamo sostenuto per intero il Libro Bianco ideato da Marco Biagi. Siamo del parere che debba essere mantenuto un elevato livello di flessibilità nel mercato del lavoro per rispondere alle nuove esigenze dei processi produttivi senza intralciare la crescita delle imprese. Spesso s’identifica il lavoro flessibile con il lavoro precario. Per scindere questo binomio si ritiene necessario attenuare, se non eliminare, la flessibilità. E’ l’attacco che oggi è mosso alla legge 30. Noi siamo di parere diverso. La precarietà non nasce dalla discontinuità del lavoro ma da quella del reddito. È del tutto evidente che chi fa lavori intermittenti non può fare a meno nei periodi nei quali è senza occupazione di una sicurezza nel proprio reddito. Sta qui un nuovo binomio che deve essere portato avanti, consistente nello stretto rapporto che va creato tra più flessibilità e più sicurezza sociale. In Italia esiste una larghissima precarietà perché non si sono predisposti tutti quelli ammortizzatori sociali che dovrebbero consentire a chi fa lavori flessibili di non restare in condizioni precarie e cioè senza alcun reddito. Noi crediamo del parere che i nuovi strumenti di sicurezza sociale debbano assicurare la continuità del reddito ai lavoratori flessibili ma non quella del profitto alle imprese in crisi. Questa nostra posizione si accompagna con una forte consapevolezza della necessità di spostare risorse consistenti nel fronte dell’innovazione, della ricerca e della scuola, come era previsto nell’agenda europea di Lisbona. Soltanto una società più ricca culturalmente è, infatti, in grado di affrontare la sfida della globalizzazione. Non potremmo mai affrontare la competizione di paesi come la Cina nei settori maturi, ma potremmo farlo nei settori fortemente innovativi dove contano le idee, le competenze e le innovazioni capaci di conquistare nuovi spazi di mercato. Per questo motivo, e non per ragioni elettorali, abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenere la centralità della scuola pubblica, opponendoci con decisione a finanziare quella privata, paritaria o no che sia. Noi abbiamo posto come Rosa nel Pugno una grande questione che riguarda la legalità. Non credo che si tratti di un tema che appartenga solo alla tradizione radicale, ma sia una grande questione di civiltà che noi dobbiamo porre con vigore di fronte al paese. Lo abbiamo fatto su una questione specifica riguardante una distorta applicazione della legge elettorale al Senato che ha impedito l’elezione di otto senatori. Si tratta come è evidente di un aspetto di una questione assai più generale. Un paese civile non riesce a vivere e a svilupparsi senza che sia diffuso un senso civico che rispetti le leggi. Ciò si vede chiaramente nel necessario contrasto della micro e della macro criminalità, a cominciare da quella mafiosa. Noi sappiamo bene che i fenomeni di delinquenza tendono a colpire e a impaurire soprattutto i ceti più deboli e le persone anziane, diffondendo un vasto e diffuso allarme sociale. Sostenendo l’amnistia, portata avanti coraggiosamente generosamente da Marco Pannella, noi non pensiamo affatto di indebolire il fronte della lotta al crimine. Anzi, l’amnistia serve ad eliminare l’ingorgo determinatosi nei meccanismi giudiziari inceppati di tanti piccoli processi che riguardano reati ormai storici e che con tutta probabilità non verranno mai celebrati. L’amnistia, accompagna dall’indulto, non è solo una misura necessaria per attenuare l’inumano affollamento delle carceri, ma anche per ridare funzionalità alla giustizia al fine di perseguire i reati dell’oggi e comunque tutti i più gravi reati. L’amnistia è la premessa di una riforma della giustizia che punti innanzitutto ad accelerare i tempi nei quali si possa ottenere una sentenza definitiva. Non c’è infatti maggiore iniquità che quella di emettere giudizi definitivi dopo decenni e decenni. Noi abbiamo accolto positivamente la concessione della grazia ad Ovidio Bompressi. Auspichiamo che ciò avvenga anche per Adriano Sofri che è ormai da tempo in condizioni di sofferenza. Lo facciamo perché ci ha sempre impressionato la ripetuta e continua proclamazione di innocenza che sempre è stata fatta nei confronti dell’orrendo delitto commesso contro il commissario Calabresi. Sappiamo infatti che la giustizia, anche quando è scrupolosamente amministrata, può commettere drammatici errori. E lo facciamo anche perché consideriamo davvero assurdo per le vittime e per i colpevoli che si arrivi a sentenze definitive dopo decenni e decenni. Per questi motivi noi pensiamo che qualsiasi riforma della giustizia debba avere come principale obiettivo quello di accelerare i processi. Come si sa noi abbiamo sempre considerato che si debba adeguare il modello della giustizia italiana a quello prevalente e generalizzato in tutte le democrazie occidentali, basato sulla divisione delle carriere tra giudice terzo e pubblica accusa. Non siamo d’accordo, quindi, con il blocco generalizzato che è stato annunciato dal nuovo Guardasigilli Mastella, rispetto alle modifiche introdotte nella precedente legislatura. preferiremmo un provvedimento più selettivo che ne blocchi taluni aspetti assai negativi, lasciandone inalterati altri positivi come è stato segnalato dall’unione degli avvocati italiani. Il problema della legalità è insorto con grande forza alla ribalta della cronaca con tangentopoli. Il Psi e il Psdi ne furono coinvolti.. Oggi ci rendiamo assolutamente conto, di fronte agli scandali scoppiati nel mondo del calcio, come l’illegalità sia uno dei fattori più negativi nella vita civile. Consideriamo che l’aspetto più macroscopico di questa illegalità diffusa nella società italiana, sia rappresentato dall’evasione fiscale. Nei giorni scorsi un’analisi condotta dal giornale “IL Sole 24 Ore” ha stimato che l’evasione di tasse e contributi si collochi in Italia tra gli 88,8 e 102 miliardi di euro. Condividiamo pienamente che ci si trova di fronte ad una emergenza nazionale. Sul “Corriere della Sera” il professor Francesco Giavazzi a proposito ha osservato: “Le imbarcazioni di lunghezza superiore a 17 metri iscritte al registro nautico sono 65 mila in un paese dove in cui solo 17.141 contribuenti dichiarano un reddito superiore ai 200.00 euro (dati del 2002)”. Questa è, dopo la criminalità mafiosa, la più importante questione di legalità che esiste nel nostro Paese e che rischia di minacciare la stessa convivenza civile. Ben si applica alla situazione italiana il titolo di un saggio, a suo tempo pubblicato da uno studioso di scienze delle finanze, che divideva i cittadini italiani tra tartassati ed evasori. Sappiamo come i diversi condoni fiscali, adottati dal centro destra, abbiamo incrinato fortemente la credibilità della nostra amministrazione finanziaria. Occorre in questo campo davvero una svolta. Non si tratta solo, come pure si deve fare, di arrivare a poter incrociare tutti i dati informativi possibili, di ricorrere a i più diversi indicatori economici del reddito, di potenziare gli studi di settore e di contrastare a livello internazionali i paradisi fiscali al fine di riuscire a ridurre notevolmente, se non eliminare, l’area dell’evasione fiscale. Noi pensiamo, infatti, che occorra ricorrere ad ulteriore provvedimenti e misure straordinarie. A suo tempo si costituì un piccolo corpo di super ispettori che avrebbe dovuto rappresentare una sorta di cervello nel perseguimento della lotta all’evasione. Io credo che nell’attuale situazione dovremmo creare un corpo molto più vasto composto da mille super ispettori, tratti in larga parte dagli elementi che hanno dato maggiore prova di efficienza e di competenza nella Guardia di finanza, per fronteggiare con una squadra di emergenza di alto livello qualitativo una situazione di emergenza. Più in generale è necessario ripensare all’uso della imposizione indiretta con finalità progressive, che possa riuscire a intercettare la stragrande parte dei cittadini meglio di quanto possa fare l’imposizione diretta che pure va mantenuta nella sua attuale struttura. So che ci sono stati studi in materia che andrebbero ripresi, aggiornati e formulati in proposte di governo. So bene che anche nel campo dell’imposizione indiretta si annida l’evasione, ma sicuramente si possono trovare in questo tipo di tassazione rimedi forse più efficaci rispetto a quelli della tassazione diretta. Questa estensione abnorme dell’evasione fiscale in Italia, come si legge in un documento del Dipartimento per le politiche fiscali, hanno a che fare con il tessuto produttivo del paese: la piccola dimensione delle imprese, la grande presenza di lavoratori autonomi dei settori dove i controlli sono più difficili da eseguire, la scarsa determinazione dei controlli a un sistema di riscossione inadeguato. Insomma i limiti stessi della nostra struttura economica, a cominciare dal suo nanismo, che spesso impedisce di alimentarsi da grandi fonti finanziarie e che limita la ricerca su grande scala, è anche uno dei fattori fondamentali dell’occultamento di redditi. Su tutta questa dimensione dei problemi, che coinvolgono la società italiana, noi dobbiamo come Rosa nel Pugno portare avanti la nostra prospettiva di modernizzazione. Senza riforme, senza innovazione e senza formazione non si riuscirà mai a far riprendere il nostro Paese come è necessario. Condivido pienamente lo stretto legame, che nelle sue considerazioni finali ha fatto il nuovo governatore Draghi, da stabilire tra il risanamento finanziario e la crescita economica. Non è infatti possibile ipotizzare un raddrizzamento dei nostri conti pubblici fuori linea attraverso pesanti tagli e massicce tasse. Questa ricetta non solo sarebbe difficilmente tollerata dal paese ma provocherebbe una stretta finanziaria che indebolirebbe i timidi segni di una ripresa economica ancora assai debole. È quindi tutto il tema delle riforme sociali ed economiche che deve pienamente entrare nel nostro progetto della Rosa nel Pugno. Del resto, quando abbiamo lanciato il nostro progetto, abbiamo fatto riferimento a Blair, Zapatero e Fortuna, che sono tre importanti leader socialisti. Non si tratta di esportare in Italia il modello del New Labour in Gran Bretagna o quello del nuovo socialismo in Spagna o di riproporre oggi tale e quale l’impegno originale e anticipatore di Loris Fortuna in Italia. Noi ci siamo proposti, a partire da Fiuggi, di introdurre con la formazione di un nuovo soggetto politico in Italia i temi più avanzati che hanno animato la socialdemocrazia e le correnti riformatrici del liberalismo in Europa. Ci riferiamo a quella “Terza Via” tra il liberalismo selvaggio e lo statalismo assistenzialista che è alla base dell’esperienze di Blair come quella di Zapatero e che trova in Loris Fortuna un antesigniano. Bisogna, quindi, ampliare il raggio delle nostre iniziative, dando alla Rosa nel Pugno un carattere che sia meno specialistico e che comunque non sia confinato esclusivamente nella fisionomia pur importante di movimento per i diritti civili. Non c’è in questa mia affermazione nessun cenno critico a come abbiamo condotto la campagna elettorale della Rosa nel Pugno perché considero il tema della laicità, da noi messo al centro delle nostre iniziative, come una questione di carattere parziale, mentre resto convinto che rappresenta un contenuto essenziale per assicurare le libertà nel nostro Paese. Del resto. questa necessità di arricchire il patrimonio politico e programmatico della Rosa nel Pugno è largamente sentita e non solo all’interno delle nostre fila socialiste. Fra i temi sui quali dovremmo tornare a riflettere c’è anche la questione ambientale sulla quale a suo tempo socialisti e radicali si sono cimentati. Anzi, su questo terreno vedo la possibilità di riprendere un nostro confronto con i verdi che troppo a lungo hanno mostrato di essere attratti da tentazioni fondamentaliste e soprattutto di rischiare di confondersi con l’estrema sinistra italiana. La Rosa nel Pugno non è un nuovo bozzolo nel quale rinchiudersi, senza osservare e partecipare a ciò che sta avvenendo attorno a noi. Noi socialisti da tempo avevamo condiviso l’idea della costruzione di un nuovo partito democratico in Italia attraverso un confronto che è stato sviluppato da ben due congressi dello SDI. Di questa idea guida eravamo diventati una sorta di avanguardia critica. Il nostro distacco è avvenuto quando abbiamo visto entrare in crisi questo disegno a seguito dell’adesione data da Rutelli alla campagna referendaria, promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana Ruini, e dal blocco imposto dalla maggioranza della Margherita alla costruzione di liste unitarie. A nostro giudizio, l’Ulivo è entrato in crisi proprio sul tema della laicità. Sappiamo che solo dopo il sostegno dato a Prodi attraverso le primarie da parte di milioni di elettrici e di elettori ha ripreso corpo l’idea dell’Ulivo, ma a nostro giudizio solo in una versione di cartello elettorale. L’Ulivo di oggi non ci convince affatto. Lo diciamo non solo perché notiamo nell’Ulivo è assai incerto e ambiguo sul tema della laicità, come dimostrano le recenti dichiarazioni assai reticenti fatte dal vice presidente del Consiglio Rutelli sul ritiro della firma da parte del ministro Mussi alla proposta di penalizzare per l’accesso ai fondi europei i paesi che hanno deciso libertà di ricerca nel campo delle cellule staminali embrionali. Lo diciamo anche perché l’Ulivo ci appare oggi più una camera di compensazione tra i Ds e la Margherita che il nucleo di un soggetto politico completamente nuovo. L’esperienza che abbiamo vissuto attorno alla vicenda del Quirinale su quella dell’elezione dei Presidenti di Camera e Senato e su quello della formazione del nuovo governo, è stata rivelatrice. Noi avremmo preferito che si fosse promosso un’iniziativa più efficace per arrivare ad una elezione del Presidente della Repubblica sulla base di un più ampio consenso, anche se il risultato ottenuto con l’elezione a Capo dello Stato di Giorgio Napolitano è da noi stata considerata di alto profilo istituzionale. Il fattore post K, resuscitato proprio da chi come Fassino e D’Alema si propone di seppellirlo, è servito paradossalmente per discriminare Giuliano Amato dall’essere candidato eletto a presidente della Repubblica con un amplissimo consenso. Questo stato di cose non deve però indurci a rifiutare il confronto sul futuro dell’Ulivo che nella sua veste originali, quella di Prodi e di Parisi, potrebbe rappresentare davvero una soluzione capace di superare una geografia politica italiana ancora tutta basata su ex e su post. Questa nostra volontà, come Rosa nel Pugno, di fare i conti con la prospettiva del partito democratico non deve rallentare, ma indurci ad accelerare il nostro progetto con la costruzione di un nuovo soggetto politico rappresentato dalla Rosa nel Pugno. Si tratta di un compito che non è facile poiché esistono da parte dei radicali e da parte dei socialisti stili politici assai diversi. Per noi socialisti non è la prima volta che affrontiamo il dibattito tra l’ipotesi di un partito basato su iniziative di movimento rispetto a quella di un partito fondato su una forte presenza istituzionale. Le due cose possono assieme dar vita a un modello di partito completamente nuovo rispetto a quelli tradizionali. Del resto, oggi come Rosa nel Pugno siamo presenti nel governo con il ministro Emma Bonino, con il vice ministro Ugo Intini e con i nostri sottosegretari. Del centro sinistra la Rosa nel Pugno è una componente fondamentale che ha dato un contributo importante alla sconfitta dello schieramento berlusconiano. Noi dobbiamo ben calibrare il sostegno che diamo al Governo Prodi per l’intera legislatura con le nostre sollecitazioni critiche e con le nostre proposte originali che dobbiamo sviluppare, innanzitutto in Parlamento attraverso l’opera del nostro gruppo alla Camera guidato da Roberto Villetti. Io non credo che il nuovo soggetto politico, come dovrà essere la Rosa nel Pugno, possa fondarsi su una pura e semplice somma del modo di essere dei socialisti e di quello dei radicali. Si tratta invece di puntare a nuove forme organizzative che tengano conto della necessità di creare nuovi canali di partecipazione in un mondo nel quale la comunicazione virtuale è sempre più preponderante. Forme antiche e tradizionali di insediamento organizzativo sul territorio devono trovare una nuova vitalità nella costruzione di una rete di movimenti che sappia raccogliere quanto di nuovo, soprattutto da parte dei giovani, è venuto alla Rosa nel Pugno. Io sono convinto che il progetto della Rosa nel Pugno debba andare avanti, sono per accelerarne i tempi, sono convinto che dobbiamo darci un appuntamento prima dell’estate. Dobbiamo tornare a Fiuggi per dire ai nostri elettori e alle nostre elettrici che il nostro non era, come abbiamo più volte detto, un puro e semplice cartello elettorale ma il nucleo di una nuova forza politica. Si tratta di una sfida che innanzitutto è rivolta a noi stessi per contrastare quel timore delle novità, sempre presente in qualsiasi comunità politica che affonda come noi forti radici nella storia. Tuttavia, se ci guardiamo attorno in Europa e in generale nel mondo, cogliamo la necessità di affermare una nuova politica, condotta da formazioni politiche completamente nuove e rinnovate, che rilanci il tema delle libertà. Non è un caso che accanto ai tradizionali obiettivi della pace e della sicurezza, anche nelle più difficili situazioni di crisi internazionale, sia riemerso e proprio a sinistra, nelle socialdemocrazie come nel mondo liberale riformatore questa fondamentale questione. Noi sappiamo come attorno al pensiero liberale riformatore si sia determinato un processo di revisione formidabile in movimenti e partiti che per troppo a lungo sono rimasti attaccati a tradizioni ormai superate. La riscoperta dell’opera di John Stuart Mill nel bicentenario della sua nascita ci fa riscoprire attraverso l’opera di un’attenta studiosa come Nadia Urbinati lo stretto rapporto che esiste tra il problema della libertà e quello dell’uguaglianza, tra il socialismo riformista e il liberalismo riformatore. Questo tema della libertà ormai è divenuto universale, mettendo in crisi il cinismo che è sempre derivato dal puro e semplice realismo politico o dall’affermazione della ragione di Stato. Noi stessi, che siamo stati contrari all’intervento unilaterale in Iraq e che oggi condividiamo il ritiro delle truppe italiane da quei territori, abbiamo compreso come il tema della libertà non debba rimanere confinato nel mondo sviluppato, ma sia una potente carta da giocare per assicurare una migliore convivenza a livello internazionale. La Rosa nel Pugno è quindi per me un progetto vivo e vitale al quale dedicare le nostre energie. Io vorrei che a questo progetto aderissero non solo tutti i socialisti e tutti i radicali, a cominciare da quelli che si sono già collocati a sinistra, ma tanti cittadini che sentono oggi la mancanza di un riferimento politico che faccia della libertà un’idea guida. Al fondo di questo progetto c’è l’aspirazione a costruire una nuova sinistra nel nostro Paese che affidi la modernizzazione ai principi della competizione nel mercato e a quelli della coesione sociale, come i due elementi fondamentali per una moderna azione di governo. Quindi, io propongo al nostro comitato direttivo un aggiornamento e un arricchimento del nostro progetto che consenta un più rapido decollo di una nuova formazione politica. Non dobbiamo tornare indietro. Non dobbiamo oscillare tra il richiamo al passato e l’attrazione verso il futuro. Non dobbiamo soprattutto rimanere in mezzo al guado, senza scegliere fino in fondo quale debba essere la nostra posizione. La Rosa nel Pugno resta la forza più innovativa che è stata introdotta nella politica italiana. A questa prospettiva credo che tutti noi daremo un contributo forte e convinto. Chi ha pensato tra i nostri alleati e tra i nostri avversari che questo progetto fosse effimero sarà deluso. Noi saremo in campo ancora tutti insieme per fare della Rosa nel Pugno il fattore di rinnovamento più avanzato all’interno del centro sinistra. Tutte le critiche e tutte le osservazioni dallo sviluppo di questo progetto sono state portate avanti saranno raccolte per fare in modo che l’adesione dei socialisti sia la più ampia e la più estesa e soprattutto la più convinta.
 


 
 
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