In Commissione Antimafia, il 16 gennaio, si è svolta la discussione sulla relazione del Presidente. Quello che segue è l’intervento di Giacomo Mancini.
Sono tra coloro che hanno apprezzato la relazione del Presidente della Commissione. Valuto positivamente l'equilibrio che ha contraddistinto le sue analisi e sono certo che, se nel corso di questa legislatura verranno seguite quelle traiettorie, la Commissione produrrà effetti positivi nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata e ridarà lustro ad un organismo i cui non certo lusinghieri risultati degli ultimi tempi avevano fatto riflettere non pochi osservatori sull’opportunità di non istituire più l'Antimafia. Sono, infatti, lontani gli anni in cui con la presidenza di Gerardo Chiaromonte, che è stato meritoriamente ricordato dall'on. Forgione, e poi di Abdon Alinovi è stato prodotto uno sforzo notevole nella conoscenza e nell'approfondimento delle fenomenologie criminali associative di stampo mafioso. In tempi successivi, invece, fu permesso a individui della peggiore risma, a pluriomocidi, di accomodarsi in questa stessa nostra aula offrendo loro l’opportunità di essere ascoltati come oracoli e arrivando addirittura ad attribuire loro una credibilità tale da passare come gli autori della “vera storia di italia”. Sono stati questi periodi oscuri in cui la combinata azione di alcune forze politiche di sinistra e di destra e di settori della magistratura tentarono di sconfiggere per via giudiziaria una classe dirigente che guidò per mezzo secolo il Paese. Siamo, quindi oggi, Presidente e colleghi, di fronte ad un bivio: da una parte il rischio di produrre un lavoro routinario e poco incisivo forse utile solo a dare una breve notorietà a qualche professionista dell'antimafia in sedicesimi, dall'altro, invece abbiamo la possibilità di imprimere uno scatto importante che possa contribuire a rompere il giogo, che in alcune aree del Paese diventa l'assedio, del crimine e del malaffare sotto cui sono finite alcune regioni meridionali. Mi auguro che questo ambizioso intendimento prevalga e inspiri l’azione di tutti quanti noi. Nella sua relazione il Presidente ha tratteggiato un quadro necessariamente sintetico, ma chiaro e puntuale delle diverse organizzazioni criminali e della loro sfera di influenza territoriale anche se ormai gli interessi criminali di camorra, mafia, ‘ndragheta e sacra corona unita sono tanto differenziati quando diffusi così da permettere alle consorterie mafiose di tessere un fitto reticolato che riesce ad operare, per esempio, da Casal di Principe ad Aberdeen e da Gioia Tauro fino ad Hong Kong. Per parte mia, invece, tenterò di portare all'attenzione dei colleghi la drammatica situazione che riguarda la Calabria. Concentrerò l'attenzione sulla Calabria non perchè in quella regione sono stato eletto, nè per onorare quella scuola politica alla quale sono stati educati generazioni di socialisti. Certo c'è in me non poco orgoglio nel poter rappresentare tanti elettori e di poter, quantomeno tentare di continuare quelle battaglie di libertà e giustizia sociale. Ma, oggi, se ritengo mio dovere portare a conoscenza di questa Commissione e attraverso di essa dell'intero Parlamento di quanto sta accadendo in Calabria, è perchè la mia regione è afflitta e quasi strozzata da una crisi terribile caratterizzata da una pervasività profonda e capillare, e insieme, da una risposta debole delle istituzioni. Ritengo che la condizione della Calabria sia così drammatica che può essere affrontata alimentando una possibilità di vittoria solo se il caso Calabria diventerà una grande questione nazionale. Solo così, solo se della Calabria si interesserà questa Commissione, i partiti nazionali, i grandi neetwork dell'informazione e tutta l'opinione pubblica del Paese si potrà sottrarre questa terra ad un destino triste. Solo se il caso Calabria diverrà una priorità nell'agenda politica del Governo e del Parlamento sarà consentito alla mia regione di guadagnare un futuro di luce. Vede signor Presidente, vedete colleghi, sfortunatamente di Calabria non si scrive, se non sporadicamente e, soprattutto, non sempre approfonditamente sui grandi giornali. Di Calabria non si parla nei grandi dibattiti. La Calabria non è oggetto dei grandi successi letterari come quello di Roberto Saviano che ha consentito ad un vasto pubblico di conoscere la permeabilità della Campania alle trame della camorra. Della Calabria non si parla neanche durante i lavori delle direzioni dei nostri partiti se non utilizzando parole e toni come quei medici che avendo diagnosticato un male incurabile e avanzato dicono che non è più il caso di preoccuparsi di un paziente già spacciato. In Calabria la situazione è grave. Anzi in Calabria la situazione è drammatica. In Calabria si uccide quasi ogni giorno. Ogni giorno si commettono rapine, estorsioni e ogni tipo di delitto contro le persone e contro il patrimonio. In Calabria i grandi flussi finanziari europei non creano sviluppo ma alimentano il malaffare. In Calabria le intimidazioni agli amministratori onesti sono drammaticamente frequenti quasi quanto quelle contro i bravi e preparati magistrati che con gli scarsi mezzi a loro disposizione profondono un impegno coraggioso contro il crimine. La Calabria è la terra della consorteria mafiosa più forte dal punto di vista economico e più spietata da quello militare che diversifica i suoi interessi dal narcotraffico allo stoccaggio dei rifiuti, dalla tratta degli esseri umani allo sfruttamento della prostituzione, dall’usura alla sanità, all'edilizia, alla grande distribuzione. Questa è la realtà. A questo punto bisognerebbe aprire una riflessione sul perchè ancora oggi si sia fermi a queste drammatiche condizioni, sul perché si sia ancora bloccati all'anno zero nella lotta alle 'ndrine. Bisognerebbe interrogarsi sul perchè le cosche si mostrano quasi impermeabili per come ha denunciato nella sua relazione il Presidente della Commissione. Sul perchè un quindicennio di indagini non abbia prodotto effetti apprezzabili. E qui la risposta, o meglio sarebbe dire la responsabilità, va anche rintracciata nelle modalità dell'azione della magistratura inquirente che non è stata incisiva e purtroppo è stata contraddistinta da non pochi errori. Il capitolo che riguarda gli anni passati è lungo e deve essere scritto compiutamente perchè fornisca monito imperituro sugli errori che non devono essere più commessi. E tra gli errori annovero anche l’azione legislativa ispirata al carattere emergenziale che ha prodotto la pervicace cancellazione dei diritti individuali dei cittadini. Sono tra coloro che ritengono che la criminalità anche quella più potente e più efferata non si combatta cancellando i diritti individuali, né abbassando il livello delle garanzie dei cittadini. Ed è per questo che ritengo siano maturi i tempi per promuovere un approfondito monitoraggio sugli effetti che hanno prodotto e sugli eventuali risultati positivi che hanno conseguito le norme liberticide emanate nel capo del diritto sostanziale ed in quello processuale. E anche nell'ordinamento penitenziario. Bisognerà con coraggio riflettere in termini critici sulla barbarie rappresentata dal cd carcere duro: una vera e propria barbarie, una tortura legalizzata. Ma voglio ritornare alla Calabria. E tenterò di spiegare che se oggi la Calabria non ce la fa a reagire da sola alla situazione di cui è vittima è perchè non ha una classe dirigente sufficientemente autorevole e credibile per offrire una risposta ferma ed efficace al dilagare del malaffare. In Calabria sono deboli le istituzioni, i partiti, il sindacato, la magistratura, il sistema culturale. Questo avviene non perchè manchino le competenze. Esistono. Anzi sono presenti non poche eccellenze. Il problema è che sono ostacolate, quasi soffocate nella loro possibilità di esprimersi tanto che dinanzi a chi possiede titoli e competenze molto presto si pone l'alternativa se partire e andare lontano o se chinare la testa e adeguarsi al sistema. Ed il sistema è quello della compromissione che sfocia in collusione e in affarismo e che poi viene declinato a seconda dei differenti campi in cui si opera. Per comprendere, per esempio, le dinamiche delle alleanze tra i partiti e nei partiti non bisogna fare altro che seguire i grandi flussi finanziari. Basta studiare la mappa delle società, dei consorzi, degli studi di consulenza che gestiscono i copiosi finanziamenti dei fondi comunitari, per l'informatica, per i rifiuti e per la sanità. Occorre comprendere bene gli asset affaristici che li governano per avere chiaro come nascono, si alimentano e si fortificano le alleanze nel quadro politico. E di regola queste alleanze travalicano gli schieramenti e sono consolidate tanto da far risultare poco o del tutto ininfluente l'esito elettorale e il passaggio di alcune forze politiche dal ruolo di governo a quello di opposizione e viceversa. Questo sistema è tanto sperimentato che ha protezioni formidabili e diffuse e che vede nella gestione arbitraria del potere un argine difensivo che diventa pressochè insuperabile in una regione che ha un tessuto sociale tra i più deboli di Italia e che trova nello sfruttamento del bisogno una sorgente pressochè inesauribile. Che risposta può provenire da una realtà istituzionale siffatta contro il dilagare della criminalità organizzata? Quasi nessuna. Nemmeno di facciata come dimostra la conclusione dell'ultima faticosa crisi regionale che ha visto confermare in ruoli centrali dirigenti invischiati in brutte vicende che hanno fatto scaturire imputazioni per associazione a delinquere. Un tempo in alcuni partiti, sopratutto della sinistra, operava una vera e propria magistratura interna che dinanzi al solo apparire di una azione giudiziaria nei confronti di un qualche suo dirigente provvedeva ad una sospensione cautelare e temporanea per salvaguardare quel portato etico che, si diceva, il partito dovesse sempre e comunque salvaguardare, fino ad arrivare ad imporre ai propri dirigenti cautele nemmeno previste dalla legge. Adesso, invece, ci sono partiti che arrivano addirittura a sostituirsi alla magistratura e comminano essi stessi assoluzioni in nome del partito salvando così anche i dirigenti meno difendibili. E che questi atteggiamenti fiacchino i tentativi di resistenza della parte più progredita dell’opinione pubblica e di conseguenza creino un humus favorevole alla criminalità organizzata è evidente. Allo stesso modo appare non più contiguo, ma organico il rapporto tra sistema dei partiti e il sistema del crimine in settori nevralgici per la vita dei cittadini come quello della sanità. In Calabria ci sono ospedali che sono nelle mani dei capicosca che determinano le assunzioni, indirizzano l'aggiudicazione degli appalti e arrivano anche ad indicare i primari. In rete è facilmente reperibile la relazione della commissiome di accesso all'ASL di Locri. Salta subito agli occhi il livello di contaminazione nel quale i dirigenti dell'ASL scelti dai partiti assumevano le persone scelte dai capicosca. E tale sistema va avanti da decenni tanto da poter affermare senza tema di smentita che chi ha governato in quel territorio la sanità lo ha fatto con l'accordo della ‘ndrangheta. Questo sistema, questa permeabilità delle istituzioni, dei partiti alla ‘ndrangheta che ho tentato di tratteggiare fissa la cifra dell'impegno della Commissione che deve avviare una attenta mappatura di tutti i rappresentanti istituzionali indagati, sotto processo e condannati per reati contro quella stessa pubblica amministrazione che essi stessi rappresentano. Signor Presidente, Colleghi, è urgente, è improcastinabile che la Commissione disponga una indagine conoscitiva per conoscere prima e denunciare poi quanta compromissione, collusione, organicità con la malavita esista in Calabria. Realizzare questa opera sarebbe già di per se meritorio, rappresenterebbe già un grande successo. Dobbiamo, però, essere già pronti a fissare una sfida altrettanto ambiziosa: quella di indicare e declinare il tema della selezione della classe dirigente. Signor Presidente, colleghi, tutto il mio intervento è stato ispirato da quella che io ritengo essere, e ne ho cercato di presentare le motivazioni, una impellente necessità che è quella di fare della questione Calabria una questione di interesse nazionale. La storia della Calabria è piena di episodi di dirigenti politici che si rivolgevano a Roma. Lo facevano in maniera ossequiosa e subalterna, con il cappello in mano si diceva un tempo, per elemosinare dal Governo centrale qualche piccolo contributo sempre di molto inferiore di quello che lo Stato aveva il dovere di erogare. Oggi non è mia intenzione ripetere quella stessa scena. Oggi a richiedere l'intervento di Roma e del Paese è la nuova Calabria rappresentata sopratutto dalle nuove generazioni, da un numero imponente di giovani professionisti, di tecnici capaci, di docenti dinamici, di imprenditori intraprendenti, di amministratori coraggiosi che hanno studiato, hanno letto libri, si sono formati, hanno girato il mondo. Di donne e di uomini che amano la Calabria. Di donne e di uomini che sono orgogliosi di essere calabresi. Che posseggono le competenze per emergere ed affermarsi in ogni parte del mondo. Ma proprio perché spinti dall’amore per la propria terra vogliono liberare i propri talenti in Calabria. Vogliono realizzarsi in Calabria. Vogliono crescere in Calabria e fare crescere la loro terra insieme a loro. Libera. Presidente, colleghi, alla nuova Calabria questa Commissione, ed io ritengo, tutto il Paese ha il dovere di prestare attenzione e dare una speranza nuova.
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