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Resoconto stenografico della Commissione Antimafia

6/2/2007

COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL FENOMENO DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA MAFIOSA O SIMILARE
RESOCONTO STENOGRAFICO . 6 
 

SEDUTA DI MARTEDI’ 6 FEBBRAIO 2007 PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPE LUMIA INDI DEL PRESIDENTE FRANCESCO FORGIONE

INDICE 6.


Sulla pubblicità dei lavori:
Lumia Giuseppe,Presidente…………………………………………………………………..
Seguito dell’audizione del procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso:
Lumia Giuseppe, Presidente…………………………………………………………………..
Forgione Francesco, Presidente………………………………………………………………..
Calvi Guido (Ulivo)…………………………………………………………………………….
Curto Euprepio (AN)…………………………………………………………………………..
D’Ippolito Vitale Ida (FI)……………………………………………………………………….
Mancini Giacomo (Rosanelpugno)……………………………………………………............. Montalbano Accursio (Autonomie)……………………………………………………………
Nardini Maria Celeste (RC-SE)………………………………………………………………...
Palma Nitto Francesco (FI)…………………………………………………………………….
Palumbo Aniello (Ulivo)……………………………………………………………………….
Pellegrino Tommaso (Verdi)……………………………………………………………………
Pistorio Giovanni (DC-PRI-IND-MPA)………………………………………………………..
Ruggeri Salvatore (UDC)……………………………………………………………………….
Santelli Jole (FI)………………………………………………………………………………...
Sui lavori della Commissione:
Forgione Francesco, Presidente......................................................................
Calvi Guido (Ulivo)…………………………………………………………………………….
Gentile Antonio (FI)……………………………………………………………………………
Iovene Nuccio (Ulivo) …………………………………………………………………………
Mancini Giacomo (Rosanelpugno)…………………………………………………….............
Napoli Angela (AN) ……………………………………………………………………………
Novi Emiddio (FI)………………………………………………………………………………
Palma Nitto Francesco (FI)…………………………………………………………………….
Tassone Mario (AN)…………………………………………………………………………….
Sui lavori della Commissione:
Forgione Francesco, Presidente..................................................................
Calvi Guido (Ulivo)…………………………………………………………………………….
Gentile Antonio (FI)……………………………………………………………………………
Iovene Nuccio (Ulivo) …………………………………………………………………………
Mancini Giacomo (Rosanelpugno)…………………………………………………….............
Napoli Angela (AN) ……………………………………………………………………………
Novi Emiddio (FI)………………………………………………………………………………
Palma Nitto Francesco (FI)…………………………………………………………………….
Tassone Mario (AN)…………………………………………………………………………….

Esame della proposta di costituzione dei Comitati di lavoro di cui all’art. 1, comma 3, della Legge 27 ottobre 2006, n. 277.
Forgione Francesco, Presidente……………………………………………………………….. Incostante Maria Fortuna (Ulivo)………………………………………………………………

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPE LUMIA
 
La seduta comincia alle 10,25.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Sulla pubblicità dei lavori. PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. (Così rimane stabilito). Seguito dell’audizione del Procuratore nazionale antimafia, dottor Piero Grasso. PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell'audizione del Procuratore nazionale antimafia, dottor Piero Grasso, iniziata nella seduta del 30 gennaio e proseguita in quella del 31 gennaio 2007. Comunico che il presidente Forgione arriverà a breve, in quanto è impegnato a rappresentare la Commissione in un’iniziativa istituzionale. Do la parola all’onorevole Mancini, che ha chiesto di intervenire sull’ordine dei lavori. GIACOMO MANCINI.
Signor presidente, colleghi, signor procuratore, sono stato raggiunto da minacce o da “inviti” più o meno amichevoli… PRESIDENTE. Le chiedo scusa, ma per il corretto andamento dei lavori, come lei sa, bisogna informare dell'argomento prima la presidenza e successivamente la Commissione. Essendo già iniziato il primo punto dell’ordine del giorno ed essendovi un’esigenza di continuità dei lavori, a norma del nostro regolamento dovrà sollevare la questione a cui fa riferimento alla conclusione della seduta. GIACOMO MANCINI. Signor presidente, poiché ritengo che si tratti di fatti di interesse della Commissione… PRESIDENTE. Mi permetta di aggiungere un altro elemento. Se i fatti sono importanti e rilevanti, come suppongo dalla sua prima interlocuzione, la prego di attendere l’arrivo del presidente e, in quel contesto, si deciderà come procedere. GIACOMO MANCINI. Signor presidente, le chiedo scusa, ma ritengo di avere il diritto di chiedere al presidente – a lei, che dirige in questo momento la seduta – di informare sia lei, sia la Commissione, nonchè il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, qui presente, di un fatto gravissimo, che riguarda la mia persona – che ha subito minacce –, i lavori di questa Commissione e il “caso Calabria”, da me sollevato, anche in presenza del procuratore antimafia, in un mio precedente intervento. Mi consenta, quindi, presidente, di svolgere questo mio breve intervento, che ritengo centrale. PRESIDENTE. Non posso che condividere – anche ascoltando queste prime notizie che lei riferisce – la necessità che ad un commissario, che pone questioni di tale rilevanza, sia concessa la parola. Tuttavia, il regolamento stabilisce alcune regole che dobbiamo rispettare. Pertanto, senza nulla togliere alla rilevanza delle questioni che lei vorrà porre, dobbiamo fare in modo che sia rispettato il regolamento. GIACOMO MANCINI. Non c’è dubbio… PRESIDENTE. Il regolamento ci mette nelle condizioni di affrontare tematiche fuori dall'ordine del giorno, quindi disciplina queste fattispecie. Mi pare di capire che il suo intervento non sia sull’ordine dei lavori, ma riguardi una questione seria e rilevante, su cui lei, onorevole Mancini, intende informare la Commissione antimafia. GIACOMO MANCINI. Signor presidente, la questione è seria, importante e incentrata sull'ordine dei lavori, anche rispetto all’audizione del procuratore antimafia. Penso, dunque, che mi si possa consentire sia di informare la Commissione su ciò che è accaduto e che ha visto vittima la mia persona, sia di collegare quanto brevissimamente affermerò all’intervento e alle relative osservazioni rivolte al procuratore nazionale antimafia. Chiedo, quindi, di poter intervenire, veda lei, presidente, come e quando. Personalmente ritengo utile e centrale svolgere questo intervento alla presenza dei commissari e del procuratore nazionale antimafia. PRESIDENTE. Onorevole Mancini, interverranno, come previsto, i colleghi iscritti a parlare. Alla fine, quando cioè avremo esaurito la lista degli iscritti a parlare, poiché lei chiede legittimamente di intervenire in presenza del procuratore nazionale antimafia, potrà prendere la parola sulla questione su cui intende informare la presidenza, i commissari e il procuratore nazionale.
NITTO FRANCESCO PALMA. Intervengo sull’ordine dei lavori. Comprendo le esigenze del regolamento, ma devo anche dire che quanto detto dall’onorevole Mancini è fortemente preoccupante. Si parla di minacce, che peraltro, almeno temporalmente – tutto il resto sarà oggetto di approfondimento –, seguono di pochi giorni un intervento di denuncia di un collega e dell'onorevole Mancini in sede di ufficio di presidenza. Personalmente ritengo che debba avere la precedenza, rispetto alle domande che possono essere formulate dai commissari, quanto l’onorevole Mancini vuole portare a conoscenza della Commissione. Almeno per quel che mi riguarda, considero utile conoscere quanto è accaduto all'onorevole Mancini, prima di formulare delle domande che hanno attinenza anche al problema Calabria. La pregherei, signor presidente, di voler rivedere la sua posizione e consentire all'onorevole Mancini – il quale peraltro ha anticipato che il suo intervento sarà estremamente conciso – di prendere la parola prima che io possa formulare delle domande. PRESIDENTE. La ringrazio, senatore Palma. Il suo intervento conferma che la questione è di interesse della Commissione, circostanza sulla quale la presidenza concorda. Tuttavia, proprio perché d’interesse della Commissione, la discussione deve essere incastonata con piena legittimità all'interno dei suoi lavori.
NITTO FRANCESCO PALMA. Se, dunque, dall’intervento dell'onorevole Mancini dovessero emergere ulteriori elementi, lei, presidente, ci dovrà consentire di prendere la parola per formulare delle domande al procuratore nazionale antimafia. Ciò significa, presidente, che questa audizione potrebbe protrarsi per molte più riunioni di quelle previste. Se, invece, lei consentisse all'onorevole Mancini di intervenire immediatamente, non vi sarebbe questa eventualità. È lei, comunque, a decidere i tempi e modalità degli interventi.
PRESIDENTE. Se la presidenza ritiene seria la questione sollevata, è obbligata a collegarla al regolamento. Proprio perché l’argomento è serio, e, come tale, merita piena legittimazione, occorre evitare che si possa sollevare una questione di rispetto del regolamento. Dico ciò a garanzia della serietà delle questioni che ci vuole riferire l’onorevole Mancini. Diversamente, se cioè non avessimo attribuito il giusto peso alle affermazioni dell’onorevole Mancini, avremmo potuto fare un’eccezione. Ma di fronte a questioni serie, lo ripeto, non credo si possa procedere ad un superamento del regolamento il quale, invece, ci impone un percorso preciso da seguire. Do ora la parola al primo collega iscritto a parlare.
SALVATORE RUGGERI. Signor presidente, colleghi, signor procuratore, ho seguito con interesse i lavori della Commissione ed ho esaminato con attenzione sia la relazione del procuratore Grasso sia gli interventi svolti dai colleghi. A differenza di qualche collega, che ne è rimasto deluso, ho molto apprezzato i contenuti dell’intervento del procuratore nazionale, che ringrazio, attendendo di conoscere le precisazioni che vorrà fornire in risposta alle sollecitazioni dei giorni scorsi. Ho apprezzato, in particolare, il taglio dato dal procuratore nazionale antimafia alla ricostruzione del fenomeno della criminalità organizzata di tipo mafioso nel nostro territorio, all’analisi dei rapporti con le organizzazioni criminali straniere e allo stato dell'azione di contrasto posta in essere dalle istituzioni. In alcuni interventi sono state richieste e sollecitate risposte con riferimento ad episodi specifici, a precise vicende, invitando il procuratore Grasso a riferire perfino i nominativi dei soggetti coinvolti in specifiche indagini giudiziarie. Ebbene, io non avrei nulla in contrario ad ascoltare anche i nomi delle persone nei cui confronti sono in corso indagini su singole vicende, ma ad una sola condizione, che tale elencazione – qualcuno ha parlato addirittura di una sorta di “mappatura” – servisse effettivamente ad assolvere il compito affidato alla Commissione parlamentare antimafia. Cari colleghi, quando sono stato nominato componente di questa Commissione, ho voluto per prima cosa esaminare con cura la legge istitutiva della stessa, per comprendere con precisione qual è il compito che ci è stato affidato dal Parlamento. Ho letto con estrema attenzione soprattutto l’articolo 1 della legge n. 277 del 27 ottobre 2006, dedicato ai compiti della nostra Commissione, ed ho appreso che siamo tenuti a verificare l’attuazione di disposizioni di legge, che dobbiamo accertare se le norme esistenti e le strutture predisposte siano o meno adeguate a contrastare i fenomeni criminali, che è nostro compito svolgere un’azione di monitoraggio sui diversi settori e, infine, che siamo tenuti a svolgere un’adeguata funzione di proposta legislativa, riferendo periodicamente al Parlamento. A me pare che dobbiamo svolgere una verifica di carattere generale sui singoli punti fissati dalla legge istitutiva, che per noi rappresenta una sorta di carta costituzionale, perché fissa l’oggetto, i limiti e i confini del nostro operato. Se è così – e mi rivolgo al procuratore Grasso, perché ci dica cosa pensa al riguardo –, è chiaro che siamo tenuti ad analizzare e ricostruire come si atteggia e si sviluppa la criminalità organizzata nel suo insieme, a verificare se la normativa vigente sia effettivamente in grado di svolgere un’efficace azione di contrasto, ed, infine, a formulare proposte legislative capaci di colmare vuoti normativi al fine di rendere adeguata la legislazione alle mutate esigenze in materia di contrasto alla criminalità organizzata. Allo stesso modo dobbiamo procedere relativamente alle strutture esistenti e ai necessari raccordi fra le stesse. A tale proposito, ascolterò con particolare attenzione le proposte del procuratore Grasso per colmare quella mancanza di coordinamento a livello centrale alla quale si è riferito nella sua relazione. Stando così le cose, a me pare che dobbiamo evitare di focalizzare la nostra attenzione su singole vicende giudiziarie, su specifiche questioni, vale a dire su particolari, su frammenti di fenomeni che siamo tenuti, invece, ad esaminare, analizzare, valutare e considerare nel loro complesso, nel loro insieme e nella loro globalità. Scendere nei dettagli, oltre a non essere consentito dalla legge istitutiva, sarebbe un grave errore di metodo e, allo stesso tempo, risulterebbe fuorviante rispetto agli obiettivi che siamo tenuti a perseguire. Poiché la nostra funzione è politica - nella sostanza di proposta politica -, da attuare attraverso la formulazione di proposte legislative, non possiamo e non dobbiamo addentrarci su singole vicende che potrebbero risultare assolutamente non significative di fenomeni che, invece, siamo tenuti a considerare e ricostruire a livello generale. Del resto, le proposte legislative che andremo a formulare, con riguardo ai vari settori di intervento, dovranno essere generali ed astratte. Sarebbe un grave errore avanzare una proposta di legge tenendo a mente singoli casi che, proprio in quanto tali, potrebbero risultare fuorvianti, determinando un’inadeguatezza – per così dire – genetica della normativa sollecitata in sede parlamentare. Sono assolutamente certo che singole vicende giudiziarie potrebbero essere portate all’attenzione della nostra Commissione parlamentare soltanto nell’ipotesi in cui fossero effettivamente significative e indicative di un determinato modo generale di atteggiarsi della criminalità organizzata di tipo mafioso. Affido questo mio convincimento alla vostra riflessione. Presidente, mi scusi, ma chiedo di poter interrompere il mio intervento perché mi sento poco bene. Credo si tratti di un calo di pressione. PRESIDENTE. Sospendo per pochi minuti la seduta. La seduta, sospesa alle 10,40, è ripresa alle 10,45. PRESIDENTE. Riprendiamo i lavori. In attesa che l’onorevole Ruggeri si riprenda totalmente, proseguiamo con gli altri interventi.
ANIELLO PALUMBO. Porrò pochissimi quesiti al procuratore Grasso. Tra l’altro, non ho avuto la possibilità di essere presente in tutte le fasi dell’audizione e non so se alcune delle questioni che sottoporrò alla sua attenzione sono state già sollevate. Anch’io ho apprezzato la relazione del procuratore Grasso, anche perché rivela, a mio giudizio, lo sforzo e l’impegno a rendere più efficace e incisiva – anche sul versante organizzativo – l’azione della Direzione nazionale antimafia. Ritengo anch’io che sia opportuno attenerci – in relazione ai compiti istituzionali assegnati alla Commissione – alle problematiche che possono interessare il lavoro che dovremo svolgere. Al procuratore Grasso desidero chiedere alcuni chiarimenti in ordine alla normativa vigente. Il dottor Grasso, nella sua relazione, nella parte in cui ritiene utile assegnare alla Procura nazionale antimafia anche un potere di iniziativa in ordine all’instaurazione del procedimento di prevenzione per l’applicazione di misure patrimoniali, fa riferimento al doppio sistema processuale, al regime del cosiddetto doppio binario. Vorrei sapere fino a che punto il procuratore Grasso ritiene che l’attuale sistema processuale possa essere ulteriormente «spinto», per rendere più efficace la normativa vigente in tema di contrasto – anche sul piano processuale – dei fenomeni di criminalità organizzata, senza naturalmente incorrere in violazioni di principi di rango costituzionale. Insomma, ritiene che sia possibile ulteriormente rafforzare questa disciplina differenziata, con riferimento ad alcune parti del nostro sistema processuale, oppure la normativa vigente non consente di essere ulteriormente “forzata” in quella direzione? Inoltre, con riferimento alle ipotesi di riforma, alcune delle quali sono già in gestazione - il procuratore sa bene che sono state insediate, presso il Ministero della giustizia, due commissioni, una per la riforma del codice penale e l’altra per la riforma del codice di procedura penale -, chiedo al nostro ospite se la Direzione nazionale antimafia ha momenti di interlocuzione con le commissioni in ordine alle ipotesi di riforma in atto. A questo proposito ricordo che nella scorsa legislatura la commissione Dalia elaborò un progetto di riforma del Codice di procedura penale. Non so se la Direzione nazionale antimafia abbia espresso su quel progetto un parere o, quantomeno, abbia avuto modo di valutare la congruità e l’efficacia di quelle norme al fine di rendere incisiva l’azione portata contro la criminalità organizzata. Signor procuratore, dalla sua relazione si apprende, altresì, che si è rivelato particolarmente efficace l’articolo 12-sexies. Con riferimento alla norma di cui all’articolo 12-quinquies, poi dichiarata incostituzionale – la Corte costituzionale si è espressa in maniera abbastanza uniforme in ordine ai cosiddetti reati di sospetto, dichiarando incostituzionale l’articolo 708 –, è possibile, grazie all’ausilio di penalisti e costituzionalisti, “recuperare” una figura che consenta di colpire determinate situazioni? Faccio riferimento, in particolare, alla norma, dichiarata incostituzionale, che concerneva il reato che puniva la disponibilità di beni di valore sproporzionato al reddito o all’esercizio della propria attività economica. Cito, a titolo di esempio, il caso di giovani delle nostre periferie, notoriamente appartenenti a gang. Ebbene, con la norma precedente, dichiarata incostituzionale, a tali giovani, quando questi venivano trovati a bordo di motoveicoli o autoveicoli di grossa cilindrata, del valore di migliaia e migliaia di euro, era possibile chiedere conto della provenienza di quel bene, il cui possesso risultava essere assolutamente ingiustificabile, tenuto conto delle loro condizioni economiche. Si trattava, secondo me, di una misura molto efficace ed incisiva. Chiedo, dunque, se da parte della Direzione nazionale antimafia vi è un impegno a promuovere una discussione su tale problematica, che consentisse di costruire una fattispecie esente dai vizi di incostituzionalità rilevati dalla Corte costituzionale. Leggo un brano che mi ha molto colpito, che ho estratto dal rapporto SVIMEZ ma che riprende, credo, valutazioni contenute in una relazione della Procura nazionale antimafia: «Sulla base di una precisa scelta strategica” – mi riferisco al fenomeno mafioso – “le cosche mafiose preferiscono evitare il ricorso ad ostentazioni di potenza criminale, che provocherebbero risposte istituzionali forti, di disturbo per la realizzazione dei programmi di penetrazione nel tessuto economico e finanziario”. Si tratta della cosiddetta strategia dell’inabissamento, di cui vi è traccia anche nella relazione di minoranza redatta nella scorsa legislatura dal presidente Lumia. Sconcertato, le chiedo come sia possibile che quella di inabissamento – che a mio giudizio può avere una sua validità in relazione a fenomeni ignoti, sconosciuti, che si ha interesse a non disvelare per evitare una risposta forte – possa ritenersi una strategia efficace, quando si sa cos’è la mafia e qual è la sua potenza criminale. Possibile, che la risposta forte è legata solo ad eventi clamorosi? Mi chiedo ciò perché faccio riferimento con quanto accade a Napoli, la mia città. È possibile che solo la mattanza che ha insanguinato le nostre strade debba suscitare una reazione ed una risposta forte attraverso il patto per la sicurezza, l'assegnazione di uomini e mezzi e con una più intensa attività di coordinamento fra le Forze di polizia? Non è, invece, una risposta ordinaria quella che noi dobbiamo dare, a prescindere da fatti di quella gravità e di quella rilevanza? La Procura nazionale antimafia ritiene opportuno rivedere anche i criteri che presiedono alle attuali scelte fatte dai ministeri competenti in ordine all'assegnazione di uomini e mezzi, sia nell’ambito della sicurezza sia in quello della giustizia (magistrati da assegnare ai tribunali, Forze dell'ordine da distribuire nei vari territori, e via dicendo)? È possibile che in questi casi il parametro demografico valga allo stesso modo a Monza come a Palermo o a Catania? Se questo è il criterio, che giudizio dà la Direzione nazionale antimafia su queste scelte? Infine, intervengo mi soffermo sulla questione, che traggo dalla relazione del procuratore Grasso, relativa all’attività specifica mirata a valutare ipotesi di infiltrazioni della criminalità organizzata con riferimento agli incentivi previsti dalla legge n. 488 del 1992. Poiché gran parte della materia degli incentivi è stata trasferita alle regioni – compresa, quindi, anche la legge n. 488 del 1992 –, che cosa si è previsto presso gli uffici competenti in materia di incentivi? A questo proposito, ritengo che l’attività di monitoraggio di largo respiro non debba afferire, sulla base di un approccio tradizionale, soltanto alle competenze del Ministero dell’interno e di quello della giustizia. Signor procuratore, poiché questo potere si radica e si dirama in mille direzioni, lei non ritiene utile che presso i vari uffici, esposti a questo pericolo di infiltrazione, vi siano organi in grado di segnalare operazioni sospette? Potrebbe essere utile disporre, presso il Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali, dell'economia e delle finanze delle attività produttive, di uffici, raccordati con la Direzione nazionale antimafia, ai quali assegnare esperti in grado di segnalare alla Direzione quelle operazioni sulle quali si nutrano dubbi che dietro di esse si celino poteri criminali? GUIDO CALVI. Ho letto con molta attenzione la sua relazione, dottor Grasso, e tengo a dirle subito che l’ho molto apprezzata sia per quello che in essa è detto sia per ciò che non è detto. Ho apprezzato l’assoluta organicità e profondità del quadro complessivo che lei ha saputo offrirci, ma anche – contrariamente ad altri colleghi, i quali evidentemente non hanno avuto un’adeguata sensibilità istituzionale – il fatto che lei abbia voluto farci conoscere le linee programmatiche dell'attività del suo ufficio, con alcuni suggerimenti e alcune prospettive, di ordine soprattutto giuridico, che valuteremo con molta attenzione. Ho sempre pensato che le Commissioni parlamentari e la magistratura inquirente debbano avere un rapporto di fortissima cooperazione e giammai suscitare problemi di sovrapposizione. Non è stato raro, però, il caso di Commissioni che sono entrate nel merito di indagini in corso, così come non è stato raro il caso di interventi della magistratura, che ha voluto con forza dare indicazioni al Parlamento, che invece deve essere assolutamente autonomo nell’esprimere il suo giudizio. Credo che qui abbiamo sufficienti capacità, conoscenza e cultura per poter procedere alle riforme che sono assolutamente necessarie. A mio parere, tutte le prospettive di riforma che sono state avanzate si possono sintetizzare nel problema della certezza della pena. Noi dobbiamo sicuramente procedere ad una serie di riforme che rendano più rapido il processo e, quindi, più certa la pena, per dare l’idea della forza dello Stato e infondere sicurezza ai cittadini nell’azione di contrasto portata contro le associazioni criminali. Non ho neppure timore di dirle che, com’è stato ora ribadito dal collega Palumbo, se dovessimo procedere a porre in essere taluni istituti processuali che ottengono questo obiettivo – naturalmente con tutte le garanzie che sono previste dalla Carta costituzionale –, senza dover fare riferimento a doppi binari (scelta che mi sembra impropria anche dal punto di vista scientifico), certamente vi sono specificità dell’attività di contrasto alla criminalità organizzata che vanno affrontate con strumenti propri. Vorrei anche ricordare che la Corte costituzionale, quando ha affrontato il tema dell’eventuale violazione di garanzie costituzionali dell’articolo 41-bis, ha concluso che violazione non c’era. Questo significa che una differenziazione nell’esecuzione della pena non violava i principi costituzionali. Credo, dunque, che si possa andare avanti su questo terreno, con tutte le cautele e le prudenze necessarie e con tutte le attenzioni alle garanzie, ma lo Stato deve mostrare tutta la sua forza nel contrastare la criminalità organizzata. Naturalmente il punto di riferimento di questa azione non può che essere l’istituto da lei presieduto. L’attività svolta dalla Direzione nazionale antimafia si è, infatti, dimostrata tra le più efficaci e le più avanzate, ed ammirata per questo nel mondo. Dobbiamo essere attenti agli aspetti che lei ha richiamato, dare risposte istituzionali che siano efficaci per il suo e il nostro lavoro, cooperando ma non sovrapponendoci e non intralciando il lavoro reciproco. Dopo il problema complessivo della certezza della pena – un problema di carattere processuale, ovviamente –, da anni stiamo discutendo del rapporto tra criminalità organizzata e terrorismo. Basti pensare al traffico d’armi, per cogliere come questi due fenomeni siano assolutamente assimilabili, o comunque così vicini da non poter essere valutati che da un unico organismo. Mi rendo conto che vi sono molti problemi affinché, come spesso è stato sollecitato, la Direzione nazionale antimafia assuma istituzionalmente anche questo ruolo. Non sarebbe scandaloso, si potrebbero, infatti, individuare strumenti attraverso i quali, all’interno della stessa Direzione, si potrebbero trovare compartimentazioni o sezioni che si occupino di diversi fenomeni, che devono ritrovare poi una loro unicità all’interno dell’attività svolta dalla Direzione nazionale antimafia ed antiterrorismo. Credo che questo sia l’impegno che la nostra Commissione e la Direzione nazionale antimafia devono assumersi, naturalmente nei limiti delle possibilità di ciascuno, e che debbano andare avanti con grande rapidità ed efficacia. Penso che il fenomeno della criminalità organizzata sia tutt’altro che attenuato, anche se molto forti e molto importanti sono state le vittorie che le Forze di polizia e la magistratura hanno saputo dare al nostro paese. Anche la risposta del Parlamento, sia pure tardiva, ha offerto quegli strumenti che hanno consentito questo tipo di contrasto. Strumenti, lo dico subito, insufficienti: sono tutt’altro che soddisfatto dell’attuale situazione legislativa. Da questo punto di vista, i suoi consigli, indicazioni e suggerimenti potranno risultare molto importanti per il lavoro del Parlamento. Il suo intervento, dottor Grasso, è stato esauriente, completo, non generico e non vago. Io l’ho letto – spero di aver bene interpretato – anche come un atto di rispetto nei confronti della Commissione, in attesa di quello che noi le diremo e del prosieguo dei lavori. Per questo, pur in assenza di un’indicazione puntuale di possibili obiettivi, il quadro complessivo che lei ha tracciato ci sarà straordinariamente utile per il nostro lavoro. Premesso tutto questo, desidero formulare una domanda in merito ad alcuni fatti che si stanno verificando in Sicilia. Ho avuto notizia che circa trenta consigli comunali e ventidue sindaci della provincia di Palermo, appartenenti a tutti gli schieramenti politici, hanno dato vita a numerose iniziative pubbliche di protesta, si sono rivolti alle autorità di vigilanza sui lavori pubblici e sulla concorrenza, nonché alla procura della Corte dei conti e alla procura della Repubblica, ed hanno esercitato un’opposizione all’interno della conferenza provinciale dei sindaci dell’ATO idrico. Lo scopo della protesta riguardava, in primo luogo, la scelta di affidamento dell’acqua ad un privato, in secondo luogo, le procedure e le risultanze della gara con la quale ad un unico offerente è stato aggiudicato un appalto di costruzione e gestione trentennale delle reti del servizio idrico della provincia di Palermo, per un importo di 1 miliardo 267 milioni di euro. A questo riguardo, lei – qualora sia a conoscenza di elementi utili - quale valutazione ritiene di poterci dare? Sto parlando di un evidente conflitto di interessi, che ha visto un medesimo soggetto, il professor Rosario Mazzola, essere, nella sua qualità di commissario dell’ATO, banditore della gara e contemporaneamente aggiudicatario dell’appalto in qualità di amministratore della società capofila Mediterranea delle Acque SpA di Genova, che peraltro non si era presentata come tale ma come Genova Acque (le due società hanno proceduto ad un’operazione di fusione).. Dottor Grasso, quale valutazione ritiene di poter dare del fatto che la gara e l’aggiudicazione abbiano avuto come oggetto non un’offerta economica di ribasso sui lavori, ma la presentazione di progetti tecnici e preliminari mai approvati da un organo tecnico terzo? Con la conseguenza, chiaramente, che le attuazioni di tali progetti minacciano un tanto grave quanto incontrollato e inammissibile aumento dei costi di realizzazione e di gestione della rete, con danni all’erario e con imposizioni tariffarie esorbitanti ai cittadini utenti, come si evince da numerosi gravi rilievi contenuti nelle relazioni tecniche allegate all’offerta. In conclusione, vorrei sapere se lei non conviene sul fatto che le gravi illegalità che segnano questo grande appalto – almeno così come appaiono – minacciano di preludere a forti e diffusi condizionamenti e infiltrazioni della mafia nella realizzazione delle opere e nella gestione dell’acqua, come sta ad indicare anche la circostanza che la medesima procedura seguita dall’ATO idrico di Trapani abbia registrato la presenza nella gara – unica presenza – del noto appaltatore Di Vincenzo, noto a noi e noto a lei. Ponendole queste domande sono entrato nel merito specifico del nostro lavoro, e vorrei sapere – se naturalmente ostensibili, allo stato – quali sono le notizie e le informazioni in suo possesso e quali può fornire alla nostra Commissione. PRESIDENTE. Dal momento che il senatore Ruggeri si è prontamente ristabilito, gli do con molto piacere la parola. SALVATORE RUGGERI. Vi ringrazio e mi scuso per il piccolo inconveniente. Riprenderò l’intervento dal punto in cui ero stato costretto ad interrompermi. Sono assolutamente certo che singole vicende giudiziarie potrebbero essere portate all'attenzione della nostra Commissione parlamentare soltanto nell'ipotesi in cui fossero effettivamente significative ed indicative di un determinato modo generale di atteggiarsi della criminalità organizzata di tipo mafioso. Affido questo mio convincimento alla vostra riflessione, cari colleghi, ed oggi in particolare alla sua valutazione, signor procuratore nazionale, da cui attendo conferme o smentite al riguardo, anche alla luce della sua pregressa esperienza proprio in questa Commissione parlamentare. Il delicato lavoro che ci attende impone rotte sicure, che siamo tenuti a tracciare fin dall'inizio dell'attività della Commissione. Sarei pronto anche a rivedere la mia rotta, la mia convinzione sul metodo da seguire nei lavori, se effettivamente emergesse la necessità di analizzare singole questioni, di concentrarsi sui nominativi, che esulano completamente dai lavori della Commissione che devono interessare fatti e non anche nomi. Cari colleghi, la delicatezza del compito che ci è stato affidato dal Parlamento certamente non tollera alcun tentativo di strumentalizzazione, e cioè di trasformazione di un organismo di proposta politica in uno strumento di lotta politica. La ringrazio nuovamente, signor procuratore nazionale, e attendo le sue risposte.
NITTO FRANCESCO PALMA. Signor procuratore nazionale, il gruppo di Forza Italia non è assolutamente rimasto deluso dalla sua relazione, di cui ha apprezzato la prospettazione di tipo generale, e la sua intenzione di riservarsi di entrare nello specifico solo se ciò le sarà richiesto con la formulazione di apposite domande. Siamo rimasti soddisfatti, lo specifico, per quello che lei ha detto. Mi rendo conto che il senatore Calvi non ha origini meridionali, ma se noi fossimo rimasti soddisfatti di quello che lei non ha detto, essendo in Commissione antimafia, percorreremmo quella strada di una certa Sicilia, in cui contano più i silenzi che le parole. GUIDO CALVI. Non vorrei essere frainteso. NITTO FRANCESCO PALMA. Sto scherzando... PRESIDENTE. Quella del senatore Palma è una battuta e verrà riportata come tale. GUIDO CALVI. Sì, ma in questo caso è meglio non accettare battute. Il silenzio lo intendevo come una non travalicazione… PRESIDENTE. …dei compiti istituzionali… NITTO FRANCESCO PALMA. Sarò rapidissimo. Mi è capitato di leggere che il pubblico ministero che doveva recarsi a Rebibbia per interrogare un soggetto indagato dell'omicidio dell'onorevole Fortugno ha avuto difficoltà a reperire un’autovettura. Ugualmente mi è capitato di leggere che negli uffici giudiziari si rilasciano copie degli atti utilizzando la carta per fotocopie fornita dai difensori, ovvero che vi sono difficoltà persino nel reperire fondi per il carburante delle auto di servizio; ho letto di dibattimenti che vengono interrotti alle 14 per l'impossibilità finanziaria di assicurare il pagamento della stenotipia nelle ore successive, di tagli agli straordinari del personale amministrativo e delle Forze di polizia e, addirittura, di propositi di riduzione dei fondi per le intercettazioni telefoniche. Non le chiedo evidentemente valutazioni in proposito, altrimenti la porterei su un piano squisitamente politico. Le chiedo se quanto ho letto sugli organi di stampa e quanto le ho riportato rappresenti una corretta fotografia dell'attuale realtà. In secondo luogo, lei ha incentrato – correttamente, a mio parere – il suo intervento sul contrasto patrimoniale. Vorrei capire se gli uffici, esistenti presso le procure della Repubblica o le procure distrettuali e le sezioni investigative esistenti presso le singole questure, deputate alle misure di prevenzione patrimoniali, non tanto personali, siano, secondo la sua valutazione, idonei a tale tipo di contrasto. In subordine, siccome da tempo si discute circa la possibilità di affidare alla Procura nazionale antimafia il compito di attivare le misure di prevenzione patrimoniali, nell'eventualità in cui ciò dovesse accadere, le vorrei chiedere quale tipo di vantaggio ne scaturirebbe e che tipo eventuale di organizzazione dell'ufficio lei immagina sotto questo profilo. Quanto alle operazioni sospette, desidererei sapere quanti procedimenti penali sono stati attivati in conseguenza di segnalazioni di operazioni sospette, quanti di questi hanno avuto poi un minimo di sfogo dibattimentale e, quindi, un minimo di risposta positiva sotto il profilo delle condanne. Su molte di queste domande credo di conoscere la risposta, penso comunque che sia necessario che queste risposte siano pubblicizzate. Signor procuratore nazionale, intendo dire che se il sistema immaginato delle operazioni sospette non dovesse funzionare – come a me pare che sia –, si deve intervenire radicalmente e modificare questo sistema, che è del tutto inadeguato; ovvero, se si continua ad immaginare che esso possa portare frutti al contrasto alla criminalità organizzata, evidentemente bisognerebbe attivare altro tipo di interventi e di controlli. Sotto questo profilo, mi chiedo – e le chiedo – quanta collaborazione reale vi è da parte degli intermediari creditizi e finanziari e, nell'eventualità in cui questa collaborazione non vi dovesse essere, quali tipi di controllo sono stati, se del caso, attivati dalla Procura nazionale. È stato sviluppato un monitoraggio degli istituti bancari, al fine di individuare, proprio sulla base delle segnalazioni di operazioni sospette, quali di essi brillano per fattiva collaborazione o, per converso, per collaborazione non particolarmente fattiva? Quali sono gli interventi che vengono effettuati – se ne è a conoscenza – da parte della Banca d'Italia, per cercare di superare le anomalie eventualmente esistenti nel settore? Certo è, signor procuratore nazionale, che se da tutto questo sistema relativo alle operazioni sospette dovesse nascere un qualcosa di ben più piccolo di un topolino, forse sarebbe il caso di intervenire. In questo caso, ove lei dovesse ritenere idoneo un intervento per la modifica della disciplina, su quali linee si muoverebbe? Spesso le leggi – e qui davvero non credo di coinvolgerla nella politica – vengono costruite su sistemi assolutamente teorici, senza rendersi veramente conto di quello che accade nella pratica. Spesso si approvano leggi su settori di intervento senza conoscere il parere delle persone che operano in quella materia. Siccome tra i compiti della Commissione antimafia vi è anche quello della valutazione della normativa e di eventuali iniziative dirette a modificarla, le sarei grato se mi facesse conoscere – lei che è il vertice dell’azione giudiziaria diretta al contrasto della criminalità organizzata – quali sono le sue idee sul punto. Quanto al riciclaggio, ho la sensazione che tale questione sia simile a quella delle operazioni sospette, ossia che si tratti di due discipline che soddisfano la coscienza sotto il profilo della loro presenza normativa, ma molto poco la soddisfano sotto il profilo della loro attuazione. Per essere chiari, vorrei sapere quanti procedimenti esistono o sono esistiti per i reati di riciclaggio. Credo – ma vorrei una comunicazione ufficiale sul punto – che vi siano una o due al massimo sentenze passate in giudicato, delle quali una sola concernente fatti di cui all’articolo 51 comma 3-bis. Vorrei sapere, inoltre, quante condanne, nel passato, vi sono state per reati di riciclaggio. Per condanne intendo evidentemente quelle di primo grado, e se esse sono state confermate in secondo grado. Insomma, vorrei avere un panorama di questa situazione – non credo che le risulterà faticoso, attesa l’esiguità dei numeri – e sapere quanti procedimenti sono incardinati. Sarei peraltro curioso di conoscere un altro elemento. Nel riciclaggio vi è la possibilità investigativa di utilizzare agenti sotto copertura. Conosco storicamente – me ne interessai per un processo – la genesi di questa norma, ma vorrei capire quanto questa attività investigativa di agenti sotto copertura sia utilizzata realmente ai fini del riciclaggio, e segnatamente quanto (ove vi sia) di questa attività sia riferibile a forze istituzionali italiane. Ricordando la ragione di questa norma, ho la forte sensazione che l'attività sotto copertura in tema di riciclaggio trovi stimolo più nelle azioni che avvengono per iniziativa estera, che non per iniziativa italiana. Non voglio entrare nella disanima delle norme e non le chiedo una valutazione di dettaglio, desidero soltanto porre in rilievo alcuni aspetti su cui riflettere. Evidentemente non abbiamo un’ipotesi di autoriciclaggio, così come non abbiamo un’ipotesi di autoricettazione. Abbiamo, però, due norme di chiusura sotto questo profilo: una per il possesso ingiustificato di valori (non ricordo l’articolo preciso), l'altra per i reati di maggiore importanza (articolo 12-sexies). Quanti procedimenti penali esistono per il 12-sexies? Quante condanne, in passato, vi sono state con riferimento a questa tipologia di reato? Se l’azione giudiziaria non dovesse avere una sua significatività, dovremmo valutare se esiste il riciclaggio e quant'altro – ciò mi parrebbe un’affermazione paradossale –, oppure valutare se gli strumenti normativi a disposizione, oltre che quelli investigativi, siano insufficienti per il raggiungimento del risultato. Signor procuratore, le sarei grato se potesse indicarci quali sono le sue idee circa eventuali modifiche da apportare alla disciplina. PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO FORGIONE NITTO FRANCESCO PALMA. Lei ha fatto riferimento alla banca dati, nonché alla necessità di una circolarità delle notizie all’interno del suo ufficio, e per certi versi tra il suo ufficio e le singole direzioni distrettuali. Non voglio entrare nel merito di questa sua scelta organizzativa, ma le pongo una semplice domanda. Le informazioni, i dati e le copie degli atti giungono dalle direzioni distrettuali in tempo quasi reale oppure no? Le informatizzazioni nelle singole direzioni distrettuali avvengono in un tempo ragionevolmente reale o no? In passato mi è capitato di frequentare il suo ufficio e anche qualche direzione distrettuale. L’impressione che ne ho tratto – ovviamente mi auguro che tutto questo sia cambiato – è che il sistema informativo, che è sicuramente un ottimo sistema, presenta tuttavia delle pecche sotto il profilo dell’attualità delle informazioni. Ho visto che l'informatizzazione nelle singole direzioni distrettuali (quando vi è) non è rapida spesso perché i singoli sostituti sono particolarmente gelosi del materiale investigativo di cui sono in possesso, e temono la stessa circolarità interna all'ufficio. Vorrei sapere se questo è vero. Signor procuratore, condivido quello che lei ha affermato nel suo intervento, che se noi non arriviamo a forme reali di coordinamento, a forme reali di circolarità corretta e controllata delle informazioni, difficilmente possiamo mettere in atto un valido sistema di contrasto alla criminalità organizzata. La mia domanda, dunque, non serve per attivare polemiche nei confronti del magistrato «x» o «y», cosa di cui davvero poco m’importa, ma per comprendere se questo sistema è oggettivamente funzionante nel breve periodo oppure no. Sulle intercettazioni telefoniche c’è una grande polemica, per il loro eccessivo numero e per i costi molto elevati. Qual è la sua valutazione sul rapporto costi-benefici delle intercettazioni telefoniche? In ragione di questo rapporto – e considerando che è proprio dell’attività investigativa dirigere un'indagine in un determinato senso, che magari in seguito ci si accorge essere sbagliato –, lei ritiene che vi sia un abuso delle intercettazioni telefoniche, oppure no? In particolare vorrei sapere quale tipo di controllo reale – le chiedo una valutazione statistica, non sui singoli provvedimenti – del GIP sul pubblico ministero lei ritiene possa desumersi dal rapporto tra il numero delle intercettazioni richieste e il numero delle intercettazioni concesse. Questa non è una domanda – lo dico con molta franchezza – per fare propaganda in ordine all'utilizzo anomalo delle intercettazioni telefoniche. Voglio semplicemente capire se da parte del suo ufficio possono arrivare delle indicazioni utili per intervenire rapidamente per sanare qualche anomalia, prima che il fenomeno esploda e, come spesso è accaduto nel passato, l'intervento del legislatore sia più radicale del necessario. Del resto, è pacifico per tutti noi qual è l’enorme significatività delle intercettazioni telefoniche, ambientali e quant'altro, nelle indagini di criminalità organizzata. Non voglio, quindi, fare né propaganda né polemiche; vorrei solo che su questo argomento vi fosse chiarezza. Una parte delle intercettazioni telefoniche viene affidata a soggetti terzi, a privati. Vi è un’interrogazione parlamentare in cui si parla, ad esempio, della direzione distrettuale di Catania, che affidava le intercettazioni telefoniche a una società che poi è risultata – in un procedimento di Caltanissetta – essere implicata con la mafia. Signor procuratore nazionale, non si può proprio di tentare di risolvere questo problema senza continuare a ricorrere a strutture esterne? Siccome le strutture esterne sono pagate e, da quello che ricordo, il complesso del denaro che viene speso per pagare questi soggetti terzi è superiore a quello che spenderebbe lo Stato se approntasse una propria struttura, vorrei conoscere la sua valutazione sul punto. Se questo è un fatto estremamente grave e vi è un'inerzia politica, che si raccorda ad una ragione anziché ad un’altra, è interesse della Commissione antimafia saperlo, sia sotto il profilo dei costi, sia principalmente per la circostanza che materiale così delicato possa essere trattato da soggetti che poi si scoprono essere coinvolti in organizzazioni mafiose. PRESIDENTE. Mi giunge comunicazione – che peraltro forse riguarda anche lei – che alle 12 il ministro dell’interno relazionerà al Senato sui fatti accaduti a Catania. NITTO FRANCESCO PALMA. Signor procuratore, desidererei sapere se per il procedimento penale concernente l'omicidio dell'onorevole Fortugno lei abbia nominato un suo sostituto. Per quel che concerne le mafie straniere, lei ha fatto riferimento a diverse etnie. Davvero lei ritiene che in Italia vi sia un radicamento territoriale della mafia russa o della mafia cinese, al di là della considerazione che i reati sono tutti rivolti all’interno delle loro stesse comunità? Qual è la sua valutazione – non è una domanda provocatoria – del fatto che le mafie straniere normalmente operano fattivamente proprio nelle zone in cui non v’è la criminalità organizzata storica di questo paese? O meglio, la domanda è pacificamente provocatoria, perché vuole sottolineare che in determinate zone vi è un controllo territoriale da parte di un qualcosa che non è lo Stato, ed è proprio questo che impedisce quel tipo di radicamento. Questa è l'unica valutazione che mi permetto di fare. Purtroppo devo formulare la mia ultima domanda senza aver avuto la possibilità di conoscere le gravi dichiarazioni che l'onorevole Mancini intendeva fare all’inizio della riunione odierna. L'onorevole Mancini ha fatto affermazioni relative a coinvolgimenti di amministratori comunali, provinciali, regionali e quant'altro, di peso non irrilevante in vicende giudiziarie calabresi. Da questo vorrei prendere spunto per chiederle – mi aspetto una risposta la più esaustiva possibile, compatibilmente con quanto risulta segretato e quant'altro – quanti amministratori comunali, regionali, provinciali o quanti amministratori di nomina politica (penso ad esempio alle ASL) nella terra di Calabria (Corte d'appello di Catanzaro e di Reggio Calabria) sono coinvolti in procedimenti di criminalità organizzata, sia come soggetti passivi (vi sono stati degli attentati) sia come indagati. Richiamo la domanda che le è stata posta dal senatore Calvi, circa un appalto di fornitura d'acqua in cui sono state rappresentate anomalie nell’aggiudicazione. Fermo restando che si è detto che «queste anomalie lasciano preludere che», quindi non vi è ancora nulla di concreto sotto il profilo della mafia, ove mai lei intendesse rispondere a questa domanda mi piacerebbe sapere se amministratori e politici calabresi sono coinvolti in procedimenti giudiziari. GIOVANNI PISTORIO. Porrò velocemente alcune domande. Lei ha un'esperienza conclamata – in prima linea – nel contrasto alla criminalità mafiosa, maturata in ruoli diversi, dunque straordinaria. Da poco più di un anno svolge un ruolo di coordinamento e di sintesi del contrasto a tutto il sistema della criminalità organizzata. Le chiedo se da questo osservatorio si colgono differenze strutturali profonde, sistemi di relazione qualitativamente distinti, capacità diverse di penetrazione nel sistema sociale, economico e politico. Inoltre, vorrei sapere se gli strumenti di contrasto normativi e organizzativi sono adeguati. So che la norma generale è astratta per definizione, ma l’organizzazione può essere differenziata e anche le norme possono essere particolarmente mirate. Le chiedo se, da questa esperienza che ha maturato in prima linea nel fenomeno che ha maggiore tradizione criminale, abbia ricavato l’idea che ci sia uno spazio per mirare meglio le azioni di contrasto, viste le diverse caratterizzazioni del fenomeno. Ovviamente è molto interessante il rapporto con altre questioni, quale quella del riciclaggio e via dicendo. Dall’intervento del collega mio conterraneo, che parlava dell'area catanese, dalla quale provengo, colgo lo spunto per porle una domanda: vi sono condizioni strutturalmente diverse di penetrazione anche nella medesima realtà regionale? Se sì, perché? Ad esempio, se in una realtà territoriale si insediano molte attività economiche, questo è il segno che il terreno è stato bonificato, oppure no? È legittimo pensare che se eliminiamo l’inquinamento mafioso l’attività economica si svilupperà, libera da uno dei condizionamenti più pesanti. Allora, la forte incidenza dell'attività economica in un settore è un segnale che il sistema è depurato, o comunque è in via di miglioramento, oppure la pax mafiosa e il sistema di controllo delle attività è tale da garantire tranquillità? L’onorevole Burtone parlava del sistema dei centri commerciali. Ho letto che a Palermo era in piedi un procedimento penale – non sono curioso delle singole indagini – relativo ad un centro commerciale. Faccio notare che a Palermo non vi sono quasi per nulla centri commerciali, mentre nell’area catanese ve ne sono numerosi. A me interessa capire se questo è il segno di un miglioramento o di un peggioramento della situazione. Penso che un’analisi di questo tipo sia interessante per indirizzare l'opera degli amministratori, oltre che del legislatore, nonché per il livello di attenzione da tenere con riguardo a questi fenomeni. È chiaro che, in presenza di un sospetto di questo tipo, occorra indagare sui patrimoni e sugli interventi economici che hanno caratterizzato quell'incidenza. Sollevo, da ultimo, il tema – attuale in queste ore – dell’eventuale rapporto tra criminalità organizzata e criminalità minorile. C’è qualche organizzazione che, ad esempio, mira in modo specifico ad utilizzare (in maniera strumentale, ma decisiva) la criminalità minorile per ruoli importanti, per il controllo del territorio, sfruttando la non imputabilità? Su questo, ove fosse vero, c’è la possibilità di intervenire, oltre che con i modelli educativi, con gli strumenti classici dell’analisi sociologica – che naturalmente sono fondamentali –, anche attraverso la legislazione? Quella dell’imputabilità è una questione delicatissima, ma la non imputabilità non può significare l’impunibilità, né può determinare l’allarme sociale e la devastazione di alcune realtà. Ci sono quartieri completamente inquinati da questo tipo di delinquenza, che potrebbe essere, o forse è, sotto il controllo organico delle strutture criminali tradizionali. Questo è un terreno molto delicato, che chiama in causa un sistema di interventi più complesso. Mi interessa comprendere se avete la percezione di questo utilizzo così marcato della criminalità minorile, oppure il mio è solo un sospetto. ACCURSIO MONTALBANO. Signor procuratore, l’analisi contenuta nella sua relazione, che peraltro condivido integralmente, si presta a numerose sollecitazioni, che suggeriscono – anche in ragione della congerie di quesiti, di domande e di interventi che hanno preceduto il mio – una maggiore focalizzazione. Vorrei richiamare l’attenzione di tutti sulla mafia silente, la mafia che in questo momento non spara e non si rende protagonista di fenomeni eclatanti sul piano mediatico: la mafia siciliana, per certi aspetti. Credo che questo meriti un ulteriore e progressivo approfondimento da parte della nostra Commissione, e ritengo che lei, signor procuratore, possa aiutarci a sollecitarlo. Il dopo-Provenzano delinea probabilmente una nuova geografia. Sono stati messi a segno colpi straordinari da parte degli apparati dello Stato. Tuttavia, non possiamo attardarci nella contemplazione di questi pur rilevantissimi successi, se consideriamo che i capi della mafia palermitana, trapanese e agrigentina sono latitanti. In questo contesto, ritengo che vadano in qualche modo riprese le fila di un’azione assai efficace che lo Stato ha saputo mettere in campo in questa fase. Vorrei partire da una specificità – o almeno da quella che a me pare tale –, quella della mafia agrigentina, che è stata da sempre considerata una sorta di zoccolo duro, un buen retiro, un riferimento logistico straordinario, con una grossa capacità di influenza nel panorama siciliano. Credo che gli elementi di specificità debbano ricondurre a quello che è successo nelle scorse settimane. Mi riferisco alla collaborazione del capomafia – il suo nome è Maurizio Di Gati – della provincia di Agrigento, o almeno di colui che è stato eletto capomafia in un summit tenutosi a Santa Margherita di Belice, a cui peraltro aveva partecipato un consigliere della provincia di Agrigento. Credo che, attorno alla vicenda Di Gati, vi sia la necessità di un approfondimento da parte nostra. Siamo in presenza di una collaborazione che potrebbe e dovrebbe rivelarsi assai importante sul piano dei rapporti tra mafia e politica, nonché sul piano dei rapporti tra mafia ed affari. La chiave di lettura che finora è stata fornita è che Di Gati, in fondo, non era gradito alla cupola mafiosa siciliana, in particolare a Provenzano, quindi in qualche modo ha passato la mano e la sua collaborazione potrebbe leggersi, almeno in controluce, da questo punto di vista. Ma c’è un altro episodio che, a mio modestissimo parere, dovremmo leggere con attenzione: il suicidio di uno dei fratelli Di Gati, avvenuto in carcere pochi giorni dopo l’arresto. Dovremmo riflettere su quanto si sia trattato realmente di suicidio e non, invece, di istigazione al suicidio. Tutta questa vicenda, insomma, deve poterci dire qualcosa di più di quanto adesso sappiamo, anche al fine di dare una lettura più attenta dei fenomeni. Non sono fra quanti leggono queste vicende come un indebolimento del sistema mafioso agrigentino, anzi, rimane, infatti, latitante il presunto capomafia della provincia di Agrigento. Credo che vi sia un allentamento, un «passare la mano», che questa vicenda delle collaborazioni possa in qualche modo chiarire. In tal senso, credo che sia legittimo attendersi significativi sviluppi. Le mie sollecitazioni sono da ricondurre non tanto ad una volontà di interferire o di sovrapporsi al lavoro egregio che sta compiendo la magistratura – ci mancherebbe altro –, quanto ad un interesse per comprendere meglio quello che sta succedendo, perché considero del tutto vitale il fenomeno mafioso in questa provincia e, in generale, in tutta la Sicilia (in particolare nel versante occidentale). In questo senso, vorrei porle una domanda che rimanda a vecchie vicende che hanno caratterizzato la mafia trapanese e, al suo interno, al ruolo svolto da alcune logge massoniche deviate, già oggetto di indagini e di approfondimenti. Le chiedo se è a conoscenza dell’esistenza di propaggini di queste logge massoniche anche nella provincia di Agrigento, in particolare a Santa Margherita di Belice, e se conosce quanto la struttura di comando della mafia trapanese riesca ad influenzare i percorsi della mafia della parte occidentale della provincia di Agrigento e le iniziative economico-imprenditoriali esistenti in quella parte della provincia. Inoltre, lei sa che alcuni comuni della provincia di Agrigento (ad esempio, Sambuca di Sicilia ed altri), ai confini con la provincia di Palermo, sono stati sempre delle retrovie logistiche della mafia siciliana, in particolare palermitana. Vorrei sapere se questo fenomeno permane ancora oggi e in ragione di quale stato di «agibilità» dei massimi referenti mafiosi di quella zona. Un’ultima domanda, e concludo, è relativa a quella che definiamo, più o meno propriamente, la borghesia mafiosa. Si fa un gran parlare di colletti bianchi, professionisti, avvocati, commercialisti e medici. Proprio su questo punto vorrei richiamare la sua attenzione. Da un primo superficialissimo esame della documentazione si vede che, mentre sono numerosi i comuni sciolti per mafia – non solo in Sicilia, ma anche in Calabria e in Campania –, si contano sulle dita di una mano le aziende sanitarie locali sciolte per condizionamento mafioso. Eppure leggiamo che personaggi coinvolti in rilevantissimi processi per mafia sono riassunti nella ASL di Palermo e che tante aziende sanitarie locali utilizzano procedure concorsuali non al di sopra, ma al di sotto di ogni sospetto, e in alcuni casi sono oggetto di indagine giudiziaria. È una mia impressione oppure c’è davvero una scarsa attenzione, da parte degli organi preposti, in questo caso anche delle stesse prefetture, a che si svolgano procedure di accesso trasparenti nelle aziende sanitarie o nelle aziende ospedaliere? Come lei sa, la sanità è diventata – anche in forza di alcuni aspetti della riforma – un grande sistema di potere. La legge consente la nomina politica dei direttori generali; a sua volta, la nomina politica dei direttori generali consente la nomina politica dei primari, degli aiuto-primari, e quant'altro. Penso che una riflessione sulla legislazione – non lo dico a lei, evidentemente, ma alla Commissione – che restringa fortemente gli ambiti di discrezionalità sugli operatori che sono nominati sia essenziale. E ciò dovrebbe riguardare il Parlamento e il Governo. Tuttavia, le chiedo se questa mia perorazione incontri una sua valutazione convergente o se, invece, le mie valutazioni siano meno incisive rispetto alla necessità che pongo di una maggiore attenzione verso il fenomeno che riguarda le aziende ospedaliere. JOLE SANTELLI. Signor procuratore, tra le iniziative che la DNA sta cercando di portare avanti, lei parla di un progetto tendente a verificare infiltrazioni nelle imprese da parte della criminalità organizzata, soprattutto in relazione ai finanziamenti della legge n. 488 del 1992. Vorrei capire, in primo luogo, se si tratta di uno studio finalizzato anche ad interventi legislativi di controllo e ad indagini ben definite. Inoltre, visto che le ultime relazioni semestrali dei servizi e della DIA specificano che il campo dei finanziamenti pubblici è diventato sostanzialmente un campo d'azione privilegiato da parte della criminalità organizzata, con specifico riferimento anche a settori definiti soprattutto nelle regioni Obiettivo 1, vorrei sapere quale impostazione di lavoro si stia perseguendo, almeno da parte del suo ufficio, e quali siano, allo stato, i risultati in termini di investigazione. In altre parole, i procedimenti in atto possono portare solo ad imputazioni per truffa e reati conseguenti, oppure anche ad imputazioni relative al coinvolgimento specifico della criminalità organizzata? La seconda questione riguarda più specificamente le varie forme di criminalità. Ovviamente, visto il mio accento, non posso che occuparmi di ‘ndrangheta. C’è un punto che mi ha molto incuriosito nella sua relazione, quello in cui si parla di verticalizzazione della ‘ndrangheta in provincia di Reggio Calabria, di un cambiamento della struttura rispetto alla tradizionale formazione e al potere locale delle ‘ndrine. Vorrei capire quale sia in realtà lo sviluppo di questa situazione, se la stessa sia legata a intrecci economici e criminali nella provincia di Reggio Calabria o se la verticalizzazione riguardi anche altre province. Sempre nella parte della relazione relativa alla ‘ndrangheta – probabilmente ho capito male, e mi auguro che sia così – mi sembra di aver letto una valutazione in parte riduttiva rispetto alla connotazione dei rapporti fra la criminalità organizzata e la cosiddetta politica a livello locale e regionale. Sembrerebbe – almeno io leggo così, ma mi auguro di sbagliare – che in qualche modo la politica a livello locale e regionale venga quasi individuata come una sorta di vittima di una situazione di condizionamento. Vivendo sul territorio, forse abbiamo valutazioni diverse. Lo ripeto, mi auguro di sbagliarmi sull'interpretazione da dare alle sue parole, ma vorrei che fosse chiarito questo punto. Trattandosi di un argomento particolarmente delicato anche in termini di notazioni sul territorio, credo che si tratti di scoperchiare una pentola, al di là delle eventuali intimidazioni giornalistiche nei confronti di chi, in termini politici, fa determinate denunce. Credo che su questo argomento una parola da parte della Direzione nazionale antimafia sarebbe estremamente rilevante. EUPREPIO CURTO. Signor procuratore, se dovessi dare un giudizio, politico ovviamente, sulla relazione che è sottoposta alla nostra attenzione, esso sarebbe se non proprio negativo comunque non positivo. Faccio solamente qualche esempio per spiegare le ragioni per le quali non ritengo soddisfacente la sua relazione. In primo luogo, quando si parla della criminalità pugliese – è un tema che a me interessa particolarmente: i commissari normalmente intervengono sui temi generali, ma naturalmente si indirizzano verso le realtà che conoscono meglio e nelle quali maggiormente operano – si fa riferimento a due settori criminali che la coinvolgono maggiormente: l’estorsione, sulla quale sicuramente convengo, e il contrabbando, che invece è nettissimamente superato. Il contrabbando in Puglia non rappresenta più – credo di poterlo dire, poi confronteremo con la relazione anche i dati statistici forniti dai carabinieri, dalla Guardia di finanza, dalle stesse iniziative dei magistrati – quel fenomeno criminale che ha causato tanti spargimenti di sangue, soprattutto nelle province di Brindisi e Lecce, ovvero nell’area salentina. Tutto questo, peraltro, è avvenuto per una scelta di natura politica, se vogliamo. Negli scorsi anni è stata adottata una politica di maggior controllo delle coste, sono state impiegate forze dell'ordine molto più compatte, preparate e soprattutto dotate di strumentazioni diverse rispetto al passato quando, ad esempio, elementi della Guardia di finanza perdevano la vita nello scontro con alcuni mezzi dei contrabbandieri, che assomigliavano molto ai panzer corazzati. Di fronte a situazioni di questo genere, i diversi Governi che si sono succeduti hanno creato le condizioni, anche attraverso la cosiddetta «operazione primavera», per bloccare il contrabbando in Puglia. Tant'è vero che, stando a notizie in mio possesso, che non sono ovviamente di natura personale ma che desumo dagli atti che provengono dalle forze dell’ordine e dalla magistratura, il contrabbando si sarebbe spostato verso altre zone d’Italia. Credo che il momento dell'analisi sia assolutamente fondamentale, se vogliamo arrivare ad una sintesi capace di contrastare adeguatamente il fenomeno. Avrei gradito, ad esempio, conoscere se la Sacra corona unita in Puglia sia effettivamente morta oppure no. Gli episodi degli ultimi giorni dimostrano il contrario. C’è stato un omicidio di Sacra corona unita – di “quarta mafia” – proprio a Brindisi, qualche giorno fa, ma soprattutto preoccupano fatti avvenuti in precedenza: mi riferisco a una serie impressionante di attentati nei confronti delle piccole e medie imprese, operanti, ad esempio, nella zona industriale di Brindisi, estorsioni a getto continuo e situazioni che facevano facilmente presumere che ci sarebbe stata un’evoluzione negativa di questo genere. Siccome sono convinto che sia necessario fare un’analisi accurata e puntuale, per poter contrastare adeguatamente tale fenomeno, mi sarei aspettato un’analisi complessiva – al riguardo ho presentato un’interrogazione parlamentare nei giorni scorsi – anche sulla ragione per la quale non abbiano funzionato alcuni strumenti, che pure erano stati previsti, a sostegno di alcune regioni del Mezzogiorno d'Italia. Una di queste regioni è sicuramente la Puglia, che annovera una delle nove province prese in considerazione per l'obiettivo sicurezza nel mezzogiorno. Un obiettivo da realizzare con fondi nazionali ed europei, stanziati per dotare le zone industriali di apparati satellitari e le questure di maggiori strumenti utili al coordinamento. Ma quei fondi non sono stati assolutamente spesi. Credo che il procuratore nazionale debba puntare l'attenzione non solo sui fenomeni criminosi – quando questi avvengano o quando presume che questi avvengano – ma anche sulle inefficienze di natura legislativa ed operativa, che purtroppo non consentono un’adeguata azione di contrasto. Non credo che sia stato dato un grande rilievo a quella che fino a ieri costituiva la più grossa preoccupazione per le forze politiche, per le istituzioni, per l'opinione pubblica e per il territorio. Mi riferisco alla situazione della Capitanata – ma oggi anche Brindisi torna ad essere zona preoccupante per la quarta mafia –, sicuramente da tenere sotto osservazione, in quanto rappresenta addirittura una delle forme primordiali di criminalità comune ed organizzata collegate. Non mi pare, però, che alla situazione della Capitanata, dove si sono perpetrati gravi delitti, sia stato dato il giusto rilievo. Del resto, sappiamo cos'è accaduto in Puglia con la quarta mafia, negli anni scorsi. Oltre a un abbrutimento di natura generale del tenore di vita, la regione ha compiuto dei passi indietro a causa della difficoltà dei potenziali investitori ad investire, appunto, sul territorio. Non appartengo alla schiera di coloro che dicono che per salvare l'economia pugliese dobbiamo far passare la tesi che tutto va bene, ma non mi iscrivo neppure al partito degli allarmisti, quelli che vogliono esaltare il fenomeno più del dovuto. Dico solo che probabilmente c'è una disattenzione nei confronti della questione criminale pugliese. Credo che, continuando così, di qui a qualche tempo avremo grandi difficoltà con le quali confrontarci e saremo privi dei mezzi e dell'approccio culturale adeguati per affrontare questi fenomeni. Quando i fenomeni vengono sottovalutati o sottodimensionati, e quando a questo si aggiunge – su questo condivido una parte della relazione – il pericolo dell’inabissamento della criminalità, il rischio è di doversi confrontare con l'introduzione di una cultura criminale o mafiosa che, devo dire, nella regione Puglia non c’è ancora. Mi farebbe inoltre molto piacere conoscere la sua opinione su un’altra questione. Nella prima parte della relazione si fa riferimento allo spostamento – in via generale, non in Puglia – dei magistrati storici della DDA dai luoghi nei quali avevano messo in opera le loro importantissime competenze. Vorrei conoscere la sua opinione rispetto ad alcuni rischi ed alcune opportunità insite in questa scelta. La presenza «vita natural durante» – passatemi questa espressione – di magistrati impegnati, capaci, esperti e conoscitori della fenomenologia criminale di un territorio è sicuramente importante, perché contribuisce, con un bagaglio di conoscenze, a contrastare adeguatamente i fenomeni criminali, ma può determinare anche dei rischi. Non dirò quali, anche perché mi pare che tutti possano intendere cosa significhi rimanere nello stesso posto per tantissimi anni. D’altra parte, capisco perfettamente che si tratta di opportunità che vanno colte: poter contare sull’esperienza di qualificatissimi magistrati non è una cosa assolutamente secondaria ed è facile comprendere che magistrati inseriti in un contesto nuovo hanno bisogno di tempo per metabolizzare anche le conoscenze sul campo. A parere del procuratore nazionale antimafia, c’è un punto di equilibrio fra queste due diverse visioni, in modo da salvaguardare la conoscenza (voi, peraltro, disponete degli uffici appositi per poter trasferire gli elementi di conoscenza), senza però creare le nicchie di potere che inevitabilmente si determinano? Pur con tutta la probità e l’onestà intellettuale del mondo, è inevitabile che la creazione di nicchie di potere porti a dare all’azione di contrasto alla mafia e alla criminalità organizzata un’impostazione non sempre al passo con i tempi. Credo che su questo argomento dovremmo seriamente discutere, ben ricordando le polemiche degli anni addietro sugli spostamenti dei magistrati distrettuali. A mio avviso, considerando le opportunità ma anche i rischi, forse dovremmo pensare a qualche strumento importante per poter determinare situazioni virtuose. Prima ho affermato che l’insieme della relazione non mi ha molto convinto anche perché, se ho ben compreso, sono state riportate questioni non ancora definite. La lotta al sistema del riciclaggio impone, a mio avviso, una modifica sostanziale della normativa sulle operazioni sospette (una normativa che a mio avviso è assolutamente fallita). Come sanno tutti i commissari presenti, nel corso di questi anni non c'è stato un solo luogo in Italia in cui abbiamo potuto prendere atto che la normativa sulle operazioni sospette aveva prodotto risultati positivi. Premesso che è necessario riformare radicalmente questa normativa, leggo nella relazione: «Tra i più recenti strumenti predisposti dal legislatore, può rammentarsi l’estensione ai notai, agli avvocati e ad altre figure professionali del decreto legislativo di attuazione della direttiva in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio». Credo di affermare il giusto se dico che di fatto il decreto non è ancora in vigore, perché i regolamenti attuativi non sono ancora operativi; ed è passato moltissimo temo: dal 2004 siamo arrivati al 2007! Vorrei chiederle se, dietro questi ritardi e le opposizioni messe in campo soprattutto dalle lobby dei notai negli ultimi anni, ci sia qualcosa che sfiora la cosiddetta «economia grigia», quella che ha sempre le cosiddette “mani pulite”, ma di fatto determina condizioni probabilmente non molto chiare. Non è possibile, anche attraverso l’impulso del procuratore nazionale antimafia, determinare le condizioni per un’accelerazione netta del percorso di attuazione? Vedremo alla fine – dovremmo essere vicini, ma tre anni sono tanti – se il regolamento attuativo avrà fatto ragione degli interessi delle istituzioni o di alcune categorie o lobby. Questa è sicuramente una questione importante. Per tornare alla Puglia, la Sacra corona unita sarà pure stata decapitata, ma non si sa dove sono andati a finire i capitali usciti dal contrabbando. Di tanto in tanto si adotta qualche misura di prevenzione patrimoniale, che magari non viene nemmeno completata, anche per la farraginosità della normativa. Per quanto mi riguarda, ritengo che solamente intervenendo sui patrimoni e sui profitti delle organizzazioni criminali si possa adeguare l’azione di contrasto al crimine. In chiusura, mi preme sottolineare che c’è un grosso problema che oggi interviene sull’economia e che, a mio avviso, viene sottovalutato. Ho presentato alcuni emendamenti, durante la discussione della legge finanziaria o del provvedimento per lo sviluppo del Mezzogiorno, che purtroppo non hanno avuto buon esito. Lei non ritiene che ormai la contraffazione sia così organizzata su scala internazionale da dover essere inserita a buon diritto nelle attività criminose e pertanto debba diventare di competenza delle procure distrettuali e non delle procure ordinarie? La contraffazione, ormai, non è più rappresentata dal piccolo truffaldino che si dedicava a questa attività per tirare avanti la giornata. Basti guardare quello che accade oggi nel porto di Taranto, sulle banchine di Evergreen. A campione viene sequestrata merce contraffatta del valore di decine e decine di milioni di euro. Figuriamoci cosa accade complessivamente. Dico a Taranto, sulle banchine di Evergreen, ma potrei dire in tutta Italia (e nel porto di Ancona). Anche questa situazione, che rappresenta una devastazione dell’economia legale, dovrebbe costituire motivo di grande riflessione per l’attività istituzionale del procuratore nazionale antimafia. TOMMASO PELLEGRINO. Cercherò di essere breve, anche perché sono davvero tante le osservazioni e le domande rivolte finora al procuratore Grasso e non voglio rischiare di essere ripetitivo. Ho ascoltato con grande attenzione la relazione del procuratore e sono tanti gli spunti, le osservazioni e le informazioni utili che dobbiamo acquisire. Quello che emerge è che, soprattutto quando parliamo di temi riguardanti la legalità e la lotta alle mafie, appare evidente la necessità di un intervento di carattere legislativo. Si tratta, a mio avviso, di un aspetto fondamentale: sono tanti, infatti, gli aspetti sui quali dobbiamo intervenire, ma tutti si riconducono ad una modifica di leggi importanti. Mi fa molto piacere ascoltare, anche su singoli cambiamenti legislativi, il parere del procuratore Grasso. Dobbiamo sicuramente iniziare un’azione di sinergia e di collaborazione che possa portare ad avere una legislazione più efficace nel contrasto alla criminalità mafiosa. In primo luogo, penso alla legge sulla confisca dei beni. È evidente che ormai – lo abbiamo ripetuto in tanti e lo continuiamo a dire – c’è un problema di eccessiva burocratizzazione. Non è possibile che, dal momento della confisca del bene alla sua possibile utilizzazione, passino anni, anche più di dieci. A mio parere, dobbiamo intervenire, e anche rapidamente, per modificare questa legge. È ovvio, però, che per farlo abbiamo bisogno di ricevere le indicazioni di chi, come lei, signor procuratore, ha sicuramente una serie di informazioni dettagliate sulle varie vicende che si sono verificate per quanto riguarda le confische dei beni. C’è un altro problema molto serio, che riguarda in generale il sud, ma in particolare la Campania e la provincia di Napoli: lo scioglimento dei comuni. Il numero di comuni sciolti nella provincia di Napoli è altissimo. La cosa più grave – ed è il motivo per il quale bisogna intervenire da un punto di vista legislativo – è che alcuni comuni sono stati commissariati, nell’arco di una decina di anni, per ben quattro o cinque volte. Un comune della provincia di Napoli, ad esempio, ha subito quattro commissariamenti. Questo dà la misura del fallimento della legge vigente. Questo significa che viene meno anche il principio di base dal quale siamo partiti per lo scioglimento dei comuni. Il motivo del commissariamento, anche di un commissariamento abbastanza lungo, è quello di ridare ordinarietà al comune commissariato. Se si susseguono quattro commissariamenti, significa che quella esperienza è fallita, ossia non ha raggiunto l’obiettivo dell’ordinarietà. È ovvio che il commissariamento fallisce nel momento in cui ci sono dirigenti che non vengono assolutamente sostituiti, sospesi, allontanati. Non parlo di licenziamento, perché questo deve avvenire a valle di una condanna, ma quantomeno bisogna intervenire anche nella struttura dei singoli comuni. Non è pensabile che, cambiando la parte politica, si possa risolvere il problema. Per quanto riguarda lo scioglimento dei comuni, è chiaro che, con maggiore drammaticità, esiste anche il problema legato ai rapporti tra le mafie (la camorra e le altre forme di mafia) e la politica. Questo è un aspetto importante, che è necessario approfondire in modo più specifico. È arrivato il momento che la parte politica, soprattutto quella parte politica che non è responsabile e che commette una serie di illegalità, si assuma le sue responsabilità. È bene che, se esistono situazioni di questo tipo, note anche alla DNA, si agisca con determinazione. Abbiamo bisogno – e soprattutto ne ha bisogno la politica – di dare una serie di segnali positivi in direzione della legalità. Sui fatti di Catania, ad esempio, non possiamo assistere al fatto che tante istituzioni, tanti comuni e tante società sportive diano esempi continui di illegalità, mentre si continua a predicare che nel nostro paese c’è bisogno di legalità. È un controsenso. Ho ascoltato la relazione del ministro Amato e sono davvero sconcertato dalla notizia che addirittura alcune società sportive, con l’avallo di alcuni comuni, hanno truffato di fatto le istituzioni, comunicando un numero inferiore ai 10 mila spettatori per aggirare la norma sull’agibilità degli stadi. Chi aggira le norme entra nell’illegalità ed è davvero grave quando queste illegalità provengono dalla parte pubblica. Su questo ci dobbiamo interrogare, assumere dei provvedimenti anche forti nei confronti di chi non rispetta le regole ed essere ancora più drastici quando chi non le rispetta è la parte pubblica, che invece dovrebbe dare segnali positivi. Tra i temi importanti vi è quello della legge sugli appalti. Penso, in particolare, alla situazione meridionale. Mi fa molto piacere – il procuratore Grasso l’ha sottolineato – che ci sia una forte azione mirata a studiare e a combattere i flussi economici della criminalità. Sappiamo benissimo che la forza delle organizzazioni criminali deriva dagli indotti economici, non solo a livello nazionale, ma anche dal punto di vista degli scambi internazionali. Porre attenzione a questo problema sarebbe importante per combattere e contrastare seriamente le mafie. Anche qui, però, è necessario un intervento legislativo. Inutile continuare con questo sistema, che permette a una società vincitrice dell’appalto di subappaltare i lavori a società di cui non conosciamo assolutamente nulla, molte volte legate alla criminalità. Per non parlare della gestione delle forniture, che nei posti più «caldi» quasi sempre è nelle mani della criminalità. È evidente, lo ripeto, che è necessario un intervento legislativo serio. Mi piacerebbe ascoltare il parere del procuratore Grasso sul problema specifico degli appalti, indubbiamente molto grave. Sulla certificazione antimafia, più volte abbiamo sottolineato che essa non costituisce alcuna garanzia. Gli stessi amministratori, dal canto loro, non sono tutelati da una certificazione antimafia che non corrisponde realmente allo stato di legalità della tale ditta, della tale società, del tale gruppo al quale vengono affidati i lavori. Sappiamo benissimo che in Campania esiste una forte infiltrazione camorristica nella gestione dei rifiuti. Questo è uno dei grossi problemi, a mio avviso, dei nostri territori. Lei ha fatto riferimento ad una sorta di unione o, comunque, di collaborazione tra alcune frange della criminalità salernitana e frange della criminalità napoletana, proprio nel campo della gestione dei rifiuti. Mi piacerebbe sapere qualcosa in più su questo asse Salerno-Napoli in questo comparto. L’infiltrazione camorristica nella gestione dei rifiuti è uno dei problemi contro il quale molte volte le istituzioni campane si sono impegnate. C’è da dire che spesso tali istituzioni vengono additate come responsabili, ma non si può non considerare quali sono le difficoltà enormi che esse incontrano nel contrasto alla criminalità organizzata. Sempre rispetto al flusso di denaro, penso che potrebbe essere utile un ruolo più incisivo della DNA – soprattutto nei posti un po’ più «caldi» – sulle diverse prefetture e questure, per capire quantomeno come esse si sono organizzate per contrastare le attività economiche della malavita. Sappiamo bene che occorre personale specializzato e strutture adeguatamente attrezzate per poter contrastare i fenomeni di illegalità riferiti soprattutto al comparto economico. MARIA CELESTE NARDINI. Ringrazio il procuratore Grasso per la relazione completa che ha voluto offrire alla Commissione. È vero, essa lascia aperti molti interrogativi, ma la considero comunque completa, in quanto sottopone dei problemi all’attenzione della politica (a dire il vero, più di quanti ne risolva, ma non era suo compito risolverli). Il procuratore ha disegnato un quadro della situazione e adesso rimanda a noi l’azione. Metodologicamente, questo si intreccia con quanto il presidente della Commissione ha illustrato nell’esposizione delle linee programmatiche, ossia una valutazione periodica nella quale questa Commissione suggerisce al Parlamento le linee da adottare per un contrasto più forte alla criminalità organizzata. La relazione evidenzia – d’altra parte, è sotto gli occhi di tutti – come il fenomeno mafioso sia lungi dall’essere sconfitto. Esiste un altro Stato, è del tutto evidente, ed è quello della mafia. Abbiamo dunque bisogno di considerare e di porre alla nostra attenzione, capitolo per capitolo, punto per punto, la sua relazione. È altresì evidente che la macchina giudiziaria e le forze dell’ordine non sono all’altezza di contrastare questi fenomeni, e non perché non siano all’altezza i soggetti, ma perché è necessario che la politica faccia uno sforzo e produca di più. Dobbiamo attrezzare adeguatamente i tribunali: mi ha fatto riflettere la circostanza che mille mandati di cattura non vengano eseguiti perché siamo nell’impossibilità di farli eseguire. Dobbiamo verificare che le forze dell’ordine abbiano gli strumenti adeguati – io credo che non li abbiano – per poter condurre una lotta più efficace alla criminalità. Siamo in presenza di un fenomeno – benché «normale», nel senso che avviene quotidianamente – di una gravità estrema. Tutto questo, ovviamente, ci impone sicuramente di rivedere e di aggiornare la normativa, ma credo che ci sia bisogno di ben altro. Signor procuratore, vengo dalla Puglia, quindi vorrei rivolgerle alcune domande che riguardano la mia regione. Credo che la Sacra corona unita abbia subito un colpo severo, ma non tanto da scomparire del tutto. Il racket e l’usura in Puglia sono fenomeni all’ordine del giorno. Pochissime sono le denunce – siamo d’accordo su questo, signor procuratore – e sappiamo anche che questo avviene per la paura, alcune volte per la connivenza, oltre a fattori culturali e sociali che non intendo richiamare qui. Non è questo il momento di fare queste analisi, ma è indubbio che il fenomeno dell’usura e del racket non è stato contrastato appieno. In Puglia, soprattutto nel barese, sono stati sconfitti ed arrestati alcuni capimafia. Credo, però, che sia proprio questa la ragione dell’impazzimento delle seconde figure; e il reclutamento dei minori avviene per alimentare quei serbatoi sfruttando – ahimè – le fasce più deboli della popolazione. A suo parere in Puglia – in particolare in Capitanata – l’agricoltura è collegata a fenomeni mafiosi? La mia è una domanda retorica, in quanto io ritengo che il collegamento vi sia, ma vorrei sentire la sua opinione al riguardo. Sulla prostituzione e sulla tratta delle donne stiamo lavorando intensamente. Vorrei che mi spiegasse com’è possibile che un flusso così ampio di donne arrivi in Italia per prostituirsi in particolare da alcuni paesi – penso alla Nigeria –, senza la connivenza reale di chi governa quei paesi. Considero questo un fatto gravissimo. Abito in un quartiere abbastanza popolare e l’anno scorso ho presenziato al funerale di una prostituta, una splendida ragazza, che è rimasta vittima di un inseguimento. Ebbene, in quella occasione sono rimasta impressionata dalla quantità di donne, altrettanto dedite alla prostituzione, che hanno partecipato al corteo funebre. Mi chiedo come sia possibile che si verifichi un fenomeno di tali proporzioni. Mi sembra che questo sia ormai un fenomeno “silente” – e se mi sbaglio mi corregga, signor procuratore –, mentre a me pare che lo stesso fiorisca in modo pauroso. Abbiamo tante associazioni che si occupano di queste donne, che tentano di avvicinarle di notte, con tutti gli strumenti possibili (a cominciare dalla somministrazione di pasti e bevande calde) e sono diverse le iniziative che stiamo mettendo in atto, anche con l’Antimafia sociale. Nella mia città, Bari, con il sindaco Emiliano stiamo cominciando a muovere i primi passi, poi faremo le valutazioni finali di questa situazione. Infine, la droga. Le sembra, signor procuratore, che ci sia un traffico maggiore di cocaina nella mia regione? Io ritengo di sì, considerando i ragazzi che cadono vittime della tossicodipendenza. IDA D’IPPOLITO VITALE. Rivolgo il mio saluto al procuratore Grasso e un apprezzamento per la sua relazione, peraltro già espresso dal nostro capogruppo, senatore Palma. Nella sua relazione, nella parte relativa alla ‘ndrangheta, il procuratore ha sottolineato che l’organizzazione si è verticalizzata e sostanzialmente rappresenta il punto di riferimento, soprattutto nel traffico degli stupefacenti, per alcuni cartelli stranieri (il colombiano in particolare). È stato anche rilevato, all’interno della relazione, che sostanzialmente la verticalizzazione ha per effetto una relativa calma nel territorio e che eventuali fenomeni di “disordine” – lo dico tra virgolette - sono da collegare a episodi di latitanza, di arresti, e così via. Se è vero che la ‘ndrangheta ha interessi al di fuori della Calabria, come si giustifica in fondo il disordine permanente all’interno della Calabria, che poco si concilia con l’idea di interessi fuori dalle mura? Non solo, ma vedo che viene prevalentemente indicata l’area di Reggio Calabria per l’individuazione dei caratteri dominanti della struttura nel suo complesso. Mi chiedo se esista una mappatura per aree geografiche della Calabria che individui i punti di differenza o se, invece, si possa parlare di un carattere omologante dei comportamenti e delle manifestazioni della ‘ndrangheta. Concludo con un’ulteriore domanda e con una riflessione. Esistono casi insoluti di sequestri di persona; esistono situazioni difficili di famiglie che, non avendo avuto ancora dallo Stato una risposta chiara sulla sorte dei congiunti, non rientrano ancora tra le cosiddette vittime di mafia, e come tali non possono fruire dei benefici previsti dalla legge. Che cosa si intende fare in proposito? Infine, tra gli strumenti di contrasto – che devono essere certamente quelli già individuati dai colleghi e dal procuratore – non è forse opportuno pensare a un coordinamento più ampio, che coinvolga i fattori formatori e non soltanto i fattori di repressione o di prevenzione propri della giustizia? Penso a un coordinamento che coinvolga diversi fattori in un piano strategico di lotta alla criminalità organizzata, che incida fin dai primi momenti di formazione ed istruzione delle nuove generazioni. PRESIDENTE. Sono così esaurite le domande al procuratore nazionale antimafia. Credo che siano intervenuti più di 40 colleghi. Al di là delle domande, ritengo si sia sviluppato un dibattito molto interessante, che avvalora l’impegno di ognuno di noi in questa Commissione, indipendentemente dalle diverse posizioni e appartenenze politiche. Il procuratore Grasso risponderà nella seduta di domani – dalle 14 alle 16 –, così avrà il tempo di preparare in modo approfondito le risposte. Possiamo quindi chiudere qui il punto all’ordine del giorno. Ricordo che l’onorevole Mancini aveva posto, all’inizio dei lavori, una questione che il presidente Lumia ha rimandato alla fine degli stessi. Do quindi la parola all’onorevole Mancini. GIACOMO MANCINI. Signor presidente, ringrazio… PRESIDENTE. Scusi se la interrompo. Ricordo che l’onorevole Mancini ha chiesto che il procuratore nazionale antimafia Grasso sia presente alla dichiarazione che egli intende fare. Se non ci sono obiezioni, chiediamo al procuratore di essere presente. NITTO FRANCESCO PALMA. Signor presidente, non intendo sollevare obiezioni, ma fare una precisazione. All’inizio della seduta, l'onorevole Lumia, che la presiedeva, ha ritenuto di spostare l'intervento dell'onorevole Mancini alla fine dei lavori, richiamando le esigenze del regolamento. Il problema, dunque, non è se siamo d'accordo o meno; il problema è se il regolamento lo consente o meno. PRESIDENTE. Ricordo che la seduta era la continuazione di sedute precedenti. Il regolamento prevede che si debba intervenire a conclusione del punto all'ordine del giorno, semplicemente questo. NITTO FRANCESCO PALMA. E il regolamento sul punto che cosa prevede? PRESIDENTE. Sulla presenza del procuratore? Al riguardo, non c’è nessuna previsione: possiamo decidere noi. Se la Commissione ritiene che il procuratore nazionale antimafia – la cui presenza viene richiesta dall'onorevole Mancini – possa essere presente bene, altrimenti... NITTO FRANCESCO PALMA. Mi scusi, presidente, non voglio fare polemiche. Il problema è che l'audizione del procuratore nazionale si è conclusa e continuerà domani. Onde evitare che ci siano dei precedenti, quando la Commissione svolge i suoi lavori al di fuori delle audizioni, è consentita la presenza di persone che non fanno parte della Commissione? Cosa prevede il regolamento? GUIDO CALVI. Ho l’impressione che dobbiamo essere molto rigorosi su questo. Abbiamo svolto un’audizione di grande importanza, che si è conclusa, e domani avremo il seguito. Tutti sono intervenuti, anche l'onorevole Mancini lo ha fatto. Non so per quale ragione voglia intervenire nuovamente, ma posso immaginarlo, avendo letto i giornali. Mi sembra che questo non ponga problemi al nostro interlocutore. In questo caso vorrei osservare che non dobbiamo legare all’audizione questioni che mi sembrano estranee all'interesse del procuratore stesso. Credo francamente che la presenza del procuratore sia del tutto inutile, al momento, dunque a mio avviso la seduta può essere chiusa, così da liberare il procuratore, che ha cose più importanti da fare. GIACOMO MANCINI. Mi fa piacere che il senatore Calvi abbia la capacità di leggere il mio pensiero. Mi complimento con lui. GUIDO CALVI. Ho letto i giornali! Leggo i giornali, non il pensiero. GIACOMO MANCINI. Ho chiesto in apertura di seduta di intervenire per denunciare un fatto grave… PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Mancini, ma stiamo ancora decidendo se il procuratore deve essere o meno presente e lei entra già nel merito della gravità dei fatti, aggettivandoli. GIACOMO MANCINI. Mi faccia argomentare. Forse il mio intervento agevolerà la decisione. PRESIDENTE. Prima dobbiamo decidere se il suo intervento debba avvenire alla presenza del procuratore. GIACOMO MANCINI. Sulla questione della presenza del procuratore non pongo alcuna difficoltà. PRESIDENTE. Mi lasci parlare, onorevole Mancini. Chiudiamo qui la seduta alla presenza del procuratore Grasso e apriamo subito, come previsto dal vicepresidente Lumia, la discussione sull'ordine dei lavori, come lei ci ha chiesto. In questo modo rendiamo tutto più trasparente e riprendiamo i nostri lavori in seduta plenaria, cosicché l’onorevole Mancini potrà svolgere il suo intervento. Ringrazio il procuratore nazionale antimafia, dottor Piero Grasso, e avverto che il seguito dell’audizione si svolgerà nella seduta di domani, mercoledì 7 febbraio 2007, alle ore 14. Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. La parola all’onorevole Mancini. GIACOMO MANCINI. Chiedo soltanto, come è mio diritto, che venga disposta la registrazione e la trasmissione sul circuito interno ed esterno. PRESIDENTE. È tutto registrato. GIACOMO MANCINI. Chiedo che quanto sto per dire venga diffuso, resocontato, stenografato a norma di regolamento, senza alcuna segretazione. PRESIDENTE. Sulla base della richiesta dell'onorevole Mancini, se non ci sono obiezioni a che la seduta sia ripresa pubblicamente, procediamo in questo modo. Il resoconto stenografico sarebbe stato redatto anche nel caso di seduta segreta (ovviamente, non in forma pubblica). GIACOMO MANCINI. Grazie, signor presidente. GUIDO CALVI. Il regolamento, riguardo alla segretezza, prevede che, qualora ci siano dichiarazioni che siano soggette alla copertura del segreto, bisogna assolutamente vietarne la diffusione. Non so cosa voglia dire l’onorevole Mancini ma, nel momento in cui dovesse far riferimento a fatti oggetto di indagine, a quel punto non vi sarebbe dubbio che la seduta debba essere segreta. Altrimenti la seduta è pubblica. ANGELA NAPOLI. Ma se un componente della Commissione lo chiede, lasciateglielo fare! Se lo chiede e si legittima, rispetto ad una denunzia che vuol fare in forma ufficiale, lasciateglielo fare! GUIDO CALVI. Non ci siamo capiti: può fare tutto ciò che vuole pubblicamente. Ho semplicemente detto… ANGELA NAPOLI. Siamo diventati forse i tutori dei delinquenti? GUIDO CALVI. Qui non tuteliamo nessuno! Questa è la Commissione antimafia, quindi non tuteliamo nessuno! PRESIDENTE. Vi prego, ognuno ha la possibilità di esprimere il proprio parere, senza che, onorevole Napoli, se è differente da quello di un altro, debba per questo essere a tutela dei delinquenti o contro di loro. Qui abbiamo tutti lo stesso mandato, la stessa missione e lo stesso rigore. Non è detto che chi sostiene la tesi della seduta segreta, piuttosto che pubblica, tuteli i delinquenti. Del resto, se qualcuno intende fare denunce di entità tale da comportare l’intervento dell'autorità giudiziaria sa dove rivolgersi; non necessariamente – come cittadino e non come deputato – deve farle in Commissione antimafia. Detto questo, noi stiamo decidendo solo sulla segretezza o meno della prosecuzione dei nostri lavori, sapendo che anche qualora non attivassimo l’impianto audiovisivo a circuito chiuso avremmo comunque il resoconto stenografico di questa seduta e che, sulla base di una discussione tra noi, potremmo decidere se tale resoconto stenografico debba essere soggetto al regime degli atti coperti da segreto oppure al regime degli atti pubblici. Di questo stiamo discutendo. GUIDO CALVI. Signor presidente, mi scusi, ma la polemica è assolutamente speciosa, gratuita e inutile. Ho semplicemente affermato che l’onorevole Mancini può tranquillamente parlare pubblicamente ed ho solamente fatto un richiamo: qualora egli facesse riferimento a questioni che sono obiettivamente coperte da segreto, il presidente dovrà interrompere l'audizione pubblica e proseguire in seduta segreta. Tutto qui. È una questione che attiene al regolamento. NITTO FRANCESCO PALMA. A dire il vero, trovo singolare l'intervento del senatore Calvi, con il quale in genere vado d'accordo. GUIDO CALVI. Vuoi segretare la seduta? NITTO FRANCESCO PALMA. Non dico questo. L’obiezione del senatore Calvi è la seguente: non appena l'onorevole Mancini dovesse toccare argomenti segreti, si interrompe la seduta pubblica. Mi scusi, senatore Calvi, ma l'onorevole Mancini ha già detto che non ha da fare dichiarazioni attinenti a questioni segrete. Peraltro, siccome il segreto non appartiene alla sfera personale ma ad atti ben individuati, sarebbe singolare che l'onorevole Mancini conoscesse questioni segrete. Pertanto, credo che la soluzione più logica e più trasparente – capisco gli imbarazzi e le difficoltà – sia aderire alla richiesta dell'onorevole Mancini e con molta tranquillità ascoltare le sue dichiarazioni. PRESIDENTE. Mi sembra che siamo tutti d'accordo, compreso il senatore Calvi, che aveva detto esattamente questo. Procediamo, quindi, in seduta pubblica. La parola all’onorevole Mancini. GIACOMO MANCINI. Signor presidente, ringrazio lei, ringrazio l’onorevole Lumia, che presiedeva la seduta questa mattina, ringrazio tutti gli intervenuti per avermi consentito di fare le mie dichiarazioni. Credo che un deputato debba parlare in Parlamento. Signor presidente, colleghi, sono stato raggiunto da minacce, da inviti più o meno amichevoli a non occuparmi più delle cose di Calabria in Commissione antimafia. Ho già forti sospetti, temo che i miei telefoni e le mie caselle di posta elettronica siano illegalmente sotto controllo. Sono anche oggetto di una campagna di stampa e di disinformazione in stile Candido. Sono grato al presidente Forgione – veramente grato – per aver difeso con grande forza l’onorabilità di questa Commissione e le prerogative dei suoi componenti e per aver diviso in maniera netta la verità documentale dalle falsità. Tanta attenzione nei miei confronti ritengo sia dovuta alla mia attività in Commissione antimafia e alla mia determinazione nell'affrontare i problemi della Calabria. Durante i lavori di questa Commissione, in tanti hanno denunciato la pervasività nel tessuto calabrese della ‘ndrangheta. Importante e qualificata, da questo punto di vista, è stata la relazione del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Su questo punto, però, ritengo che si debba fare di più: sullo studio minuzioso e dettagliato della contaminazione, della collusione e della compromissione di parte dei rappresentanti istituzionali e politici di quella regione con i sodalizi criminali e, più in generale, con il malaffare. È questo il punto che voglio fissare. Ritengo, senatore Calvi, che la grande priorità oggi sia rappresentata dall’affermazione della legalità. Una frontiera che in Calabria… PRESIDENTE. Onorevole Mancini, non può fare un ulteriore intervento politico. GIACOMO MANCINI. Ma non è un intervento politico! PRESIDENTE. Abbiamo già svolto il dibattito con il procuratore Grasso. Lei ha chiesto la parola sull'ordine dei lavori. GIACOMO MANCINI. Ho finito, si tratta solo di una cartella e mezza. Mi consenta di finire, la prego. PRESIDENTE. Va bene, prego. NITTO FRANCESCO PALMA. Perché tanto nervosismo? E’ una cartella e mezza, presidente. GIACOMO MANCINI. Come dicevo, ritengo che la grande priorità oggi sia rappresentata dall'affermazione della legalità. Una frontiera che, in Calabria soprattutto ma anche nel Mezzogiorno, deve essere conquistata, costi quel che costi. Signor presidente, colleghi, queste mie analisi, ampiamente condivise, anche nella seduta di oggi, dall'intervento di autorevolissimi colleghi, inspiegabilmente – dico inspiegabilmente perché so come questa frontiera e questo intendimento siano fortemente condivisi dal presidente della giunta regionale della Calabria – hanno scatenato la violenta e scomposta reazione di un rappresentante del governo calabrese, che per colpire me ha insolentito la storia della mia famiglia e infangato la storia centenaria e gloriosa del Partito socialista. Su questi atti gravi di ostilità, giustamente il mio partito, con in testa il segretario nazionale, ha iniziato e continuerà una forte iniziativa politica. Personalmente, invece, ho deciso di non rispondere, né tanto meno di entrare in alcun modo in polemica con quel dirigente. Ho deciso, senatore Calvi, di attenermi a questa condotta, perché è mio dovere profondere ogni sforzo affinché l'emergenza legalità in Calabria, che deve diventare una grande questione nazionale, non venga rubricata né in una rissa o, peggio ancora, in un regolamento di conti all’interno della coalizione di centrosinistra. Sono allo stesso modo fermamente convinto che tutti quanti noi onoreremo al meglio l’alto magistero al quale siamo stati chiamati se riusciremo ad impedire che la nostra istituzione venga utilizzata come sede per regolare altre contese, come è avvenuto in un triste passato. È, al contrario, mio fermo intendimento innescare un dibattito alto, che consenta di portare alla conoscenza del Parlamento quanto sia terrificante il livello di collusione in Calabria. La situazione in Calabria – lo dimostrano anche i recenti sviluppi di alcune inchieste giudiziarie – è drammatica: la compromissione sfocia in affarismo ed illegalità. Siamo al punto che, per comprendere le dinamiche delle alleanze tra i partiti e nei partiti, non bisogna fare altro che seguire i grandi flussi finanziari; basta studiare la mappa delle società, dei consorzi, degli studi di consulenza che gestiscono i copiosi finanziamenti dei fondi europei per l'informatica, i rifiuti, la sanità. Di regola queste alleanze travalicano gli schieramenti e sono tanto consolidate e profonde da far risultare poco o del tutto ininfluente l’esito elettorale e il passaggio di alcune forze politiche dal ruolo di governo a quello di opposizione, e viceversa. Questo sistema, questa permeabilità delle istituzioni e dei partiti alla ‘ndrangheta, che ho tentato di tratteggiare, fissa la cifra dell'impegno della Commissione, che ha deciso – nel corso del suo ultimo ufficio di presidenza –, senza alcun dissenso, di «acquisire l'insieme della documentazione e degli atti di inchiesta in possesso della magistratura, riguardanti amministratori, politici e dipendenti della pubblica amministrazione in Calabria», come è stato ricordato agli organi di informazione in maniera esemplare dal presidente Forgione, così da avere un preciso quadro in vista della prossima missione in Calabria, che merita – per usare ancora le parole del presidente Forgione, che rappresenta una bussola per tutti noi – un «lavoro sereno e rigoroso di indagine». Sono consapevole che questa nostra azione incontrerà fuori da qui – e mi auguro solo fuori da qui – non poche resistenze. Tutti noi sappiamo bene che le consorterie mafiose, prima di sprigionare la propria violenza assassina, ricorrono al dileggio, alla diffamazione, alla calunnia, al tentativo di isolamento politico, sociale e personale. Ho la netta impressione che anche in quest’occasione sia stata messa in campo questa strategia. Signor presidente, colleghi, io ritengo che il dovere di tutti noi sia quello di essere più forti e di non fermarci in nessun modo rispetto alla nostra azione. Grazie. PRESIDENTE. Noi abbiamo deciso, nell'ambito della predisposizione della missione in Calabria, di svolgere in questa sede un dibattito approfondito sui temi e i contenuti della missione, di acquisire tutti gli atti e le documentazioni che sono stati richiesti da più parti, dai commissari, e di svolgere in quell’ambito un dibattito approfondito sulla Calabria, approfondendo i temi prima di andare nella regione. Abbiamo discusso della Calabria anche intervenendo nel dibattito sulla relazione del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. È chiaro che questo intervento – al di là della polemica politica e dello scontro in atto in Calabria, legittimi da tutte le parti e per tutte le posizioni, per quanto mi riguarda – non può che preservare l'autonomia e l'indipendenza di questa Commissione e l'estraneità della stessa alle vicende politiche interne, tra i poli e dentro i poli in Calabria; esse non riguardano e non possono riguardare questa Commissione, che è autonoma dai poli, dal Governo nazionale, come dai governi regionali, per la sua funzione di inchiesta. Solo questa è la funzione che il presidente ha voluto riaffermare quando, anche nella polemica politica di questi giorni in Calabria, è stata tirata in ballo la Commissione. In questa sede abbiamo registrato interventi che hanno richiesto atti e documentazioni riguardanti la Calabria; lo abbiamo fatto: tutte le richieste formalizzate vengono protocollate, mentre quelle non formalizzate non vengono protocollate, e in quanto tali non esistono. Da ultimo, mi è arrivata una richiesta questa mattina proprio dall'onorevole Laganà Fortugno, che come vedete è stata già protocollata. Quelli che vengono fatti passare come documenti depositati all’antimafia, per quanto mi riguarda, non esistono, perché non sono stati né depositati, né inviati e, come tali, non protocollati, mentre tutte le richieste avanzate verbalmente sono state acquisite. A proposito dell'ufficio di presidenza, di cui si parla anche sulla stampa calabrese, mi preme rilevare che esso ha acquisito una richiesta dell'onorevole Mancini relativa alla «mappatura di tutti i personaggi della politica regionale, provinciale e comunale e della pubblica amministrazione indagati in Calabria». Questo è quanto è stato depositato presso la nostra Commissione. Mi premeva dirlo, per ristabilire la verità anche sul ruolo della nostra Commissione. Voi sapete che io vorrei evitare che questa Commissione venisse tirata dentro la battaglia politica. Ognuno dei commissari, sul proprio territorio, è un dirigente politico e non mi scandalizza il ruolo che ognuno esercita nello scontro politico sul territorio, ma nella funzione di commissari abbiamo il dovere di preservare l'autonomia e l’indipendenza della Commissione. E quando parliamo degli atti di questa Commissione, specifico che si intende fare riferimento a quelli formalmente depositati o acquisiti nell’ufficio di presidenza e negli uffici della Commissione; altre cose possono esserci, possono essere circolate, ma nessuno le ha depositate formalmente in questa Commissione. Quando parlo degli depositati formalmente in questa Commissione parlo di quelli che vengono formalmente depositati e protocollati. Insedieremo – spero subito – il Comitato di lavoro sul regime degli atti, che verificherà la bontà e la compatibilità del regime che il presidente assegna ad ogni atto. Penso che fosse mio dovere dire queste cose, anche per una modalità di prosecuzione dei nostri lavori che richiama ognuno di noi al proprio rigore. Qui nessuno teme le denunce. Tutte le denunce sulla vicenda calabrese, come su qualunque altra vicenda, sono legittime, perché abbiamo deciso di fare una missione che a trecentosessanta gradi dovrà analizzare quello che sta succedendo in Calabria. E noi questo faremo. L'intervento dell'onorevole Mancini è un intervento politico. Lo acquisiamo per quello che è, ma non possiamo aprire un dibattito. Sull’ordine dei lavori l'onorevole Mancini ha ritenuto di fare queste denunce. Per quanto riguarda le minacce e le intimidazioni, ovviamente noi non possiamo che esprimere solidarietà a qualunque dei parlamentari che, nell'ambito della propria attività, denunci minacce e forme di intimidazione; anzi, dobbiamo garantire che nel nostro lavoro nessuno venga condizionato nella sua autonomia e nella sua indipendenza di componente di una Commissione che affronta questioni delicate, come la Commissione antimafia. Tuttavia, la Commissione antimafia è fuori da altre vicende. Un dibattito sull'intervento dell'onorevole Mancini è fuori dall'ordine del giorno, quindi considererei chiuso questo punto, dato che l’onorevole Mancini aveva chiesto di intervenire per fatto personale. EMIDDIO NOVI. Signor presidente, penso che l'intervento dell'onorevole Mancini ponga l'esigenza di una mappatura ma anche di uno studio serio della Commissione antimafia sulle trasmigrazioni politiche nel Mezzogiorno d'Italia. PRESIDENTE. Questo lo abbiamo deciso... EMIDDIO NOVI. Un attimo, presidente. E credo che ponga anche l’esigenza di uno studio serio da parte della Commissione antimafia sui flussi elettorali nelle elezioni amministrative nel Mezzogiorno, dove assistiamo a una nuova forma di giolittismo strisciante, anzi, neanche tanto strisciante, ovvero vi sono repentini… PRESIDENTE. Senatore Novi, non possiamo aprire un dibattito! Noi abbiamo deciso… EMIDDIO NOVI. Mi faccia parlare. Sono dieci anni che faccio parte di questa Commissione e vedo che qui non si può neanche parlare, non si può più proporre nulla. Dobbiamo parlare solo in termini telegrafici, come nei tre minuti all’Europarlamento... Qui si parla solo in termini telegrafici, non esiste più aggettivazione! GUIDO CALVI. No, si parla nei momenti opportuni! Questo suo intervento può farlo benissimo in un altro momento! EMIDDIO NOVI. Scusate, posso chiedere al presidente di proporre alla Commissione di avviare un lavoro serio sui fenomeni di trasmigrazione elettorale e di cambiamento repentino dei flussi elettorali tra le elezioni politiche e le elezioni amministrative, e sul perché questo avviene? Oppure non è legittimo neanche questo? GUIDO CALVI. Certo, lo può fare! EMIDDIO NOVI. Che poi da questo studio possa essere avvalorato o meno il discorso dell'onorevole Mancini, ritengo comunque che sia un discorso serio da affrontare in Commissione antimafia. PRESIDENTE. Grazie, senatore Novi. Del resto, quando abbiamo discusso di come organizzare la missione, queste cose sono state discusse e acquisite da maggioranza e opposizione. NITTO FRANCESCO PALMA. Signor presidente, prima di tutto vorrei manifestare all’onorevole Mancini – mi sembra doveroso farlo – la solidarietà del gruppo di Forza Italia a fronte delle minacce che lo hanno raggiunto. Mi auguro che tali minacce non abbiano una loro successiva concretezza; ad ogni modo ribadisco siamo solidali con l’onorevole Mancini. Signor presidente, lei ha parlato di una mappatura, ma l'onorevole Mancini ha parlato di una cosa diversa, vale a dire dell'acquisizione delle carte processuali concernenti quei soggetti coinvolti in determinati procedimenti penali, che sono stati chiaramente indicati dall'onorevole Mancini nel corso del precedente ufficio di presidenza. Per il resto, condivido quello che lei afferma, ossia sostanzialmente che nessun documento ufficiale è stato presentato alla Commissione antimafia, pur essendo – come lei stesso ha detto – circolati degli appunti di natura informale, la cui circolazione credo che sia stata dovuta alla cortesia dell'onorevole Mancini, che in qualche modo voleva – a fronte di un intervento rapido in ufficio di presidenza – specificare meglio la sua posizione. In ogni caso, devo farle una richiesta, signor presidente: al di là delle mappature, che richiedono il tempo necessario, siccome l'onorevole Mancini in ufficio di presidenza ha fatto espressamente dei nomi… GIACOMO MANCINI. Non è vero! ANTONIO GENTILE. Ma come, non è vero? Lo hai detto quattro volte, scusa! Hai fatto i nomi di Loiero… GIACOMO MANCINI. Possiamo registrare quello che sta dicendo il collega? ANTONIO GENTILE. Come no... PRESIDENTE. Prego, senatore Palma, continui. NITTO FRANCESCO PALMA. Scusate, ho tanti difetti, ma godo di buona memoria. Con riferimento a quelle dichiarazioni, credo che l'acquisizione delle carte processuali debba essere fatta con criteri di massima urgenza. Certo, signor presidente, se per caso il senatore Gentile ed io dovessimo ricordare male o dovessimo immaginare di aver partecipato ad un altro ufficio di presidenza, dove l'onorevole Mancini non ha fatto nomi, eventualmente questo può essere sanato dall'onorevole Mancini che, se vuole fare i nomi, può farlo e chiedere uno specifico approfondimento sul punto. Per il resto, se il senatore Gentile ed io ricordiamo bene, quei nomi e quelle carte sono interessanti. PRESIDENTE. Senatore Palma, nel momento in cui abbiamo deciso non una generica mappatura, ma di acquisire tutte le indagini riguardanti la pubblica amministrazione e i politici, dal livello regionale fino a quello comunale, possiamo fare o non fare i nomi, ma è chiaro che la questione riguarda tutto ciò che si trova sui giornali e che conosciamo. La Commissione ha deciso di acquisire questi livelli di indagine, in modo da avere tutti gli elementi per preparare la missione in Calabria. Mi pare che su questo, senatore Novi, la discussione sia stata già fatta, in modo bipartisan – perdonatemi il termine orribile – nell’ufficio di presidenza. Questo materiale in parte è stato richiesto e in parte sta arrivando, altro verrà. Non credo che si debba aggiungere altro. Per evitare ulteriori dilungamenti su un punto che è stato chiarito, possiamo passare al secondo punto all'ordine del giorno. MARIO TASSONE. Intervengo sull’ordine dei lavori. Vi dico subito con estrema chiarezza che queste vicende mi trovano ovviamente in grande imbarazzo. Noi stiamo cercando di rifugiarci, come è giusto che sia, sul piano del rispetto e dell’ossequio al regolamento e al ruolo della nostra Commissione. Non entro nel merito delle vicende, anche se questa Commissione è espressione della politica e potrei dire chiaramente che c’è un ente regione allo sbando. Questo è il dato politico. Cosa volete che vi diciamo, se non questo? PRESIDENTE. Ma non è oggetto di questa … MARIO TASSONE. Che cosa volete che vi diciamo? Che vuol dire che non è oggetto? PRESIDENTE. Onorevole Tassone, intervenga sull’ordine dei lavori. MARIO TASSONE. Ho chiesto più volte che la Commissione antimafia non si precipiti in Calabria e che ci siano un aggiornamento ed una valutazione. Signor presidente, conosco bene il suo pensiero, e posso darle forza e soprattutto coraggio. Dobbiamo prendere tempo prima di andare in Calabria, perché in quella regione dobbiamo verificare alcune situazioni. Possiamo dedicare anche delle riunioni dell’ufficio di presidenza o della Commissione per capire che cosa dobbiamo andare a fare in Calabria, quali sono gli obiettivi e i traguardi, al di là di ogni visione particolare e parziale che non può avere cittadinanza, perché si rischierebbe di snaturare il ruolo della Commissione stessa. Questo volevo dire, senza forzature di alcun genere. Se andiamo in Calabria in una data fissata, a febbraio, quando un procuratore o un prefetto ci diranno le stesse cose che da vent'anni dicono alle Commissioni antimafia, io non verrò. Non intendo andare alla cieca, né credo che questa Commissione debba consumare vendette o entrare in situazioni che sono estranee al suo ruolo. ANTONIO GENTILE. Signor presidente, dall'inizio dei lavori della Commissione le ho detto alcune cose sulla Calabria; le ho dette anche pubblicamente, in ufficio di presidenza. Tuttavia, non volendo fare il garantista a senso unico, né ad intermittenza, dico e ripeto che l'onorevole Mancini qui ha fatto dei nomi - del presidente della regione – che sono coinvolti in procedimenti ancora aperti. È una sua valutazione personale, ci mancherebbe; gli esprimo anche la mia solidarietà per le questioni che lo stanno interessando da vicino, ma siamo in una terra di mafia, quindi è facile… NITTO FRANCESCO PALMA. Cioè, è normale! ANTONIO GENTILE. No, non è normale. Le ho subite anch’io in passato, e purtroppo si ripetono. È come vivere a Beirut o nella Zambia, siamo agli stessi livelli – purtroppo – in quella regione, per responsabilità ben precise. Sugli argomenti di cui abbiamo parlato, signor presidente, ritenevo (e glielo dissi) che non fossero temi tali da riguardare l’antimafia. Vero è che vi sono amministratori regionali sotto inchiesta – e qui ha ragione l'onorevole Napoli – ma è altresì vero che essi hanno ancora in corso dei procedimenti penali che non interessano i fatti di cui all’articolo 416-bis del codice penale, ovvero fatti di mafia. Sarebbe stato dunque più opportuno che queste questioni venissero in qualche modo discusse in un ambito diverso da quello della Commissione antimafia. GIACOMO MANCINI. Lo potevi dire in ufficio di presidenza! ANTONIO GENTILE. Onorevole Mancini, sono usciti dei nomi e non si può dire che questi nomi siano stati fatti da Gentile o da Palma, perché personalmente mi sono astenuto dal farlo! Altri giornalisti hanno portato fuori la vicenda: lo voglio chiarire, perché tengo alla riservatezza della Commissione e l’ho anche dimostrato. Purtroppo, l'onorevole Mancini indirizza direttamente le sue accuse verso gli avversari politici, le ripropone al padre, che è giornalista, e questi ha detto che la Commissione antimafia si è interessata all'onorevole Adamo. Non temo di essere smentito, ma rimane il fatto che queste risse non c'entrano con la Commissione antimafia. Lo faccio per ristabilire la verità… GIACOMO MANCINI. Presidente, voglio parlare per fatto personale! PRESIDENTE. Per fatto personale non è possibile! ANTONIO GENTILE. Non ci sono fatti personali! Questa situazione va chiarita dall'inizio alla fine. In Calabria dobbiamo certamente indagare sulla mobilità elettorale e dobbiamo capire fino in fondo quello che è avvenuto a Reggio, a Cosenza, e via dicendo. Dobbiamo capire da quale parte stavano le forze mafiose in Calabria. Su questo argomento dobbiamo fare un discorso molto serio e dobbiamo approfondirlo in ogni sua angolatura, così si capirà da quale parte stanno le forze del malaffare in Calabria e quali partiti hanno votato! NUCCIO IOVENE. Signor presidente, francamente avevo condiviso la sua impostazione di chiudere rapidamente questa discussione, in quanto mi sembra che questa non sia la sede giusta, né l'occasione adatta per affrontarla. Abbiamo avuto modo di discutere, nell'ambito delle sue dichiarazioni programmatiche, parlando diffusamente della Calabria. Lo abbiamo fatto ponendo problemi circostanziati e precisi con le domande al procuratore Grasso e speriamo che domani arrivino delle risposte. Il tema della Calabria è ovviamente uno dei principali, e così lo abbiamo assunto nell'ambito della discussione della Commissione antimafia. Dare l'idea che la nostra attività e la discussione che avviene in quest'aula possano essere piegate e utilizzate strumentalmente per il confronto politico su scala locale, sinceramente trovo che rappresenti un danno di immagine nei confronti della Commissione e un colpo alla sua autorevolezza. La Commissione si è data un impianto e un indirizzo di lavoro che credo debbano essere mantenuti e rispettati, a partire dai commissari. Dunque, la Commissione deve andare avanti con determinazione, con chiarezza senza perdere mai autorevolezza. Quella è la nostra forza fondamentale, la bussola che ci deve guidare. La discussione che si è svolta in questa ultima parte della seduta non aggiunge nulla a quanto avevamo già detto nel dibattito politico generale e nelle domande che abbiamo posto al procuratore. ANGELA NAPOLI. Intervengo solo per dirle, signor presidente, che entrerò nel merito di questa ultima parte dei lavori odierni della Commissione nell’ufficio di presidenza. Credo che si debba parlare in quella sede di questa situazione che, tutto sommato, mi ha fatto comprendere meglio tante cose che già avevo compreso e che conosco. PRESIDENTE. Grazie, onorevole Napoli. Chiudiamo qui questa discussione. Cosa fare per la Calabria? Come avevamo detto ampiamente in ufficio di presidenza, e anche nella discussione sulla relazione programmatica, l’idea è quella di svolgere qui le audizioni, ascoltare tutti i soggetti, preparare senza fretta ma approfonditamente, qui a Roma, la missione in Calabria, acquisire tutti i livelli di conoscenza (a partire dalle tragiche vicende dell'omicidio Fortugno, quindi le vicende della pubblica amministrazione e tutti i processi per mafia, finanche quelli che hanno toccato settori della magistratura calabrese), acquisire gli elementi e svolgere una discussione preventiva in Commissione prima di andare in Calabria. Questa è l'impostazione dei nostri lavori. Si è voluto aprire una vicenda, attraverso la stampa, che non c'entra niente con questa impostazione. Questa è l’impostazione della Commissione e così continueremo. Quello che non si può permettere è che qualcuno tiri da una parte e dall'altra la Commissione. L'ufficio stampa della Commissione non risponderà più per precisare alcunché su notizie che non corrispondono a fatti che riguardano questa Commissione. Esame della proposta di costituzione dei Comitati di lavoro di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 27 ottobre 2006, n. 277. PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’esame della proposta di costituzione dei Comitati di lavoro di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 27 ottobre 2006, n. 277. Ricordo che la proposta in esame è stata elaborata all'unanimità dall’ufficio di presidenza. Dobbiamo ora approvarne la costituzione in sede plenaria, in modo che i Comitati possano insediarsi e cominciare a lavorare. Sottopongo alla Commissione la seguente proposta di costituzione di 15 Comitati, concordata dall’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 16 gennaio 2007, così denominati: I - Testimoni e collaboratori di giustizia; II - Presenza e natura della criminalità organizzata in aree e settori diversi da quelli tradizionali; III - Inquinamento mafioso nel settore degli appalti di opere pubbliche e flussi di finanziamento nazionali ed europei; IV - Riciclaggio; misure patrimoniali e finanziarie di contrasto; utilizzazione dei beni confiscati; V - Racket e usura; VI - Processi di internazionalizzazione della criminalità organizzata e nuove attività internazionali; VII - Mafie straniere e loro insediamento sul territorio nazionale; VIII - Criminalità organizzata, questione minorile e sfruttamento; IX - Rapporto con gli enti locali; X - Verifica della normativa antimafia, adeguamento ed elaborazione di un testo unico legislativo; XI - Regime degli atti; XII - Forme tradizionali e forme nuove nel rapporto tra mafie e istituzioni; XIII - Mafie; libertà di informazione; vittime; XIV - Mafie migranti; tratta degli esseri umani; nuove forme di schiavitù; XV - Sportello scuola e università. Segnalo al riguardo che successivamente alla costituzione si provvederà alla nomina dei componenti dei Comitati, sulla base della designazione dei gruppi, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del regolamento interno. Chiedo a tutti i gruppi parlamentari, una volta formalizzata la decisione, di indicare i nominativi entro la prima seduta della prossima settimana. Come si evince anche dalle denominazioni dei Comitati stessi, si è raccolto molto dell'impostazione emersa nel dialogo tra la Commissione e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. In altre parole, anche nelle denominazioni dei Comitati e nella scelta dei filoni di indagine che dovranno svolgere, si sono individuate le tematiche emerse in questa sede. Do la parola all'onorevole Incostante. MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Signor presidente, intervengo per avere un chiarimento sulla denominazione di alcuni Comitati. Noto che il termine «nuovo» ricorre abbastanza frequentemente, e mi domando se non sia il caso di precisarlo meglio. Ad esempio, mentre per quanto riguarda i «processi di internazionalizzazione della criminalità organizzata e nuove attività internazionali» la dicitura appare abbastanza comprensibile, non si può dire altrettanto laddove si parla di «presenza e natura della criminalità organizzata in aree e settori diversi da quelli tradizionali». Che cosa si vuole intendere? PRESIDENTE. Ad esempio, le mafie fuori dalle aree tradizionali: il nord del paese e i settori di attività diversi da quelli tradizionali. MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Allora si potrebbe precisare «in aree e settori geografici diversi da quelli tradizionali». PRESIDENTE. Il termine «settori» lascia intendere una gamma più ampia delle attività e degli ambiti di intervento. MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Lo dico perché questa espressione ritorna spesso. Leggo, ad esempio, «forme tradizionali e forme nuove nel rapporto tra mafia e istituzioni». Comunque, vedo che non c'è un clima adatto per la discussione… PRESIDENTE. Colleghi, per favore. MARIA FORTUNA INCOSTANTE. La ringrazio, signor presidente, e ringrazio anche i commissari per l’attenzione. Siccome è stato già deciso tutto in ufficio di presidenza, non c'è problema... PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia. L’onorevole Incostante ha posto una questione alla quale voglio rispondere in base a come se ne è discusso in ufficio di presidenza. «Aree e settori non tradizionali» è l’espressione classica che si usa in tutti i livelli investigativi, per indicare non solo le aree geografiche ma anche i filoni di attività diversi da quelli tradizionalmente intesi: dunque, il racket, l’usura e le quattro aree geografiche a più alta presenza mafiosa. Quanto alla formulazione «forme tradizionali e nuove nel rapporto tra mafia e istituzioni», la si è scelta perché ci sono forme nuove di relazioni nel rapporto tra mafia e politica, così come emerse in questi anni, che anche il procuratore nazionale antimafia ha sottolineato. Siamo passati dalla collusione alla presenza diretta nelle istituzioni, siamo passati a sistemi elettorali diversi, che hanno modificato i rapporti, e via dicendo. Insomma, con questa sintesi si è inteso fotografare un ambito di inchiesta. Questa era l’intenzione che si è voluto esprimere. Pongo in votazione la proposta di costituzione dei Comitati di lavoro di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 27 ottobre 2006, n. 277, concordata dall’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 16 gennaio 2007. (E’ approvata). Dichiaro conclusa la seduta. La seduta termina alle 13,20.
 


 
 
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