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Sulla necessità di fissare un’alta soglia di sbarramento anche alle elezioni europee, così da rafforzare anche in Italia un sistema poggiato su due grandi partiti, sembrano essere d’accordo tutti. Solo il PD fa finta di opporsi per non scompiacere l’UDC di Casini e il PRC di Ferrero. Sull’eliminazione delle preferenze, altro pilastro della riforma del PDL, invece, da più parti è stata espressa contrarietà. Qualcuno ha addirittura gridato allo scandalo, scagliandosi contro “la porcata” delle liste bloccate. Per me, invece, la vera porcata è il voto di preferenza. Per questo auspico che la preferenza sia abolita, estirpata dal nostro ordinamento. Non soltanto alle europee, ma anche alle regionali. Anticipo l’obiezione del lettore che potrà pensare che io non abbia un voto e che cerchi di riempire di argomenti una mia difficoltà, dicendo che una certa esperienza con le preferenze la possiedo e che più volte, anche con la preferenza singola, mi sono candidato con successo in una regione difficile come la Calabria. Ed è proprio sulla scorta, anche della mia esperienza, che il mio convincimento si è rafforzato. Il voto di preferenza, soprattutto con circoscrizioni estese e con un numero di elettori elevato, rappresenta quanto di più antidemocratico esista: l’esatto contrario di offrire ad ogni cittadino la possibilità di scegliere il candidato che preferisce! Soltanto coloro che dispongono di risorse economiche ingenti e che gestiscono potere hanno la possibilità di essere eletti perché disposti ad investire somme enormi per farsi propaganda e per conquistare un numero elevato di voti. Con buona pace di chi predica la riduzione dei costi della politica! Ma c’è di più. Chi amministra la cosa pubblica, al solo fine di aumentare le proprie preferenze, è spinto ad anteporre il proprio interesse ad essere rieletto a quello della collettività ad essere ben governata. Un esempio? Vi siete mai chiesti perché, soprattutto nelle regioni meridionali, mancano le opere e sono carenti i servizi, nonostante i cassetti dei vari assessorati siano pieni di progetti? Semplice. Perché all’assessore di turno conviene finanziare il lavoro inutile di centinaia di professionisti con l’impegno di ricevere in cambio il loro voto, anziché dedicarsi alla realizzazione di un’opera o all’offerta di un servizio utile per tutta la comunità. Per non parlare, poi, del ruolo della criminalità organizzata: ogni cosca, dirottando le proprie preferenze, cerca di eleggere in ogni assemblea il proprio affiliato. Ed in Calabria, e non solo lì, spesso ci riesce. Ecco perché hanno fatto bene Berlusconi ed il PDL a proporre questa riforma. Ecco perché è nel giusto Denis Verdini a spiegare senza indugi e senza timidezze la trasparenza e la democraticità di questo sistema. Se la riforma del PDL sarà approvata, i partiti presenteranno le proprie liste, che con l’introduzione di quindici circoscrizioni per le europee, saranno di cinque o al massimo sei candidati. Se l’elettore sarà convinto, oltre che della bontà dei programmi, anche dei candidati selezionati dal proprio partito, metterà una bella croce sul suo simbolo. In caso contrario potrà scegliere un altro simbolo premiando la lista di candidati che riterrà migliore. Niente di più semplice, niente di più democratico. E se il PD non fosse accecato dalla avversità preventiva verso ogni proposta avanzata da Berlusconi, dovrebbe ammettere la bontà di questo sistema, non fosse altro perché lo ha adottato per definire i componenti dei propri organismi a livello centrale e periferico. Ecco perché, anche in questa discussione, dovrebbe prevalere un confronto serio e non demagogico indispensabile per edificare un sistema che imponga a chi va a rappresentare i cittadini nelle istituzioni di lavorare per perseguire il bene della collettività e non per aumentare i propri voti di preferenza.